Notti di Bacco e vino, tutti sbronzi alla Spiaggia degli Olivi
Perbacco o meglio per Bacco. Come si può dimenticare il dio del vino? Quello che, ricordi di scuola, era sempre sbronzo e faceva i “baccanali” con la bella Arianna, sbronza pure lei. Ma se la mitologia è lontana, non è giusto dimenticare che anche nella nostra bella Riva si facevano orge, o quasi, a base di vino che, per di più, era Santo. Per chi allora c’era, e qualcosa ricorda, e per chi è arrivato dopo, ma è curioso, ecco la bella storia delle nostre Notti di Bacco.
Anzitutto il luogo: la Spiaggia degli Olivi del “Franchino” Chemolli. Infatti le Notti di Bacco furono una delle massime attrazioni della Spiaggia di quei bei tempi. Le Notti a elevatissimo tasso alcolico nacquero dalla visionaria fantasia del Chemolli, che garantì il tempio delle libagioni con la sua splendida terrazza tra il lago e il cielo. Lupus in fabula, ci mise del suo anche quel genialaccio del “Tète” Torboli che, allora, inondava di Vino Santo dancing, bar e cantine da santi bevitori, donde la leggenda del Santo Bevitore di Vino Santo.
Di solito il tutto avveniva di giovedì. La prima parte della serata, sempre affollatissima, si svolgeva secondo i canoni classici: orchestra ispirata, balli, corteggiamenti, eccetera. L’attesa era spasmodica. Le gole cominciavano a fremere, sia quelle maschili che quelle femminili. La mezzanotte era annunciata dai tamburi che martellavano con crescendo wagneriano e, tra gli “ohhh” di meraviglia, appariva Lei, la Botte di Bacco. Che poi era una botte gigantesca che neanche all’Agraria ne avevano una tanto cresciuta. Veniva portata dai “satiri rivani”, giovanotti prezzolati che vestivano tuniche. Avevano certi pelazzi sulle gambe non proprio da efebi classici. Avevano persino il cerchio alla testa, forse perché erano già un po’ brilli, anche se il cerchio era di alloro. Almeno sei, o otto, erano i portatori. La Botte di Bacco, chiamata a volte la “Tètebaccosanto”, tra salamelecchi e canti sguaiati, veniva posizionata su un piedistallo, detto “Altare delle libagioni”, proprio al centro della pista da ballo. Uno sbiellato con il flauto dolce da dio Pan suonava la suite “Mezzanotte” di Amadeus “Mezzolitro” Mozart. Le sedie e i tavolini si rovesciavano per conto loro. La massa dei presenti, detti “Baccanti”, e quelli che spingevano, detti “Baccani”, si precipitava attorno al “Bottone” (grande botte), che sembrava gonfiarsi fino a oscurare il cielo notturno. Mentre le Vestali, per lo più nordiche, danzavano, l’addetto, con sprezzo del pericolo e usando una canna, detta anche “ladro”, aspirava il flusso di Vino Santo dalla botte. Per un bel periodo l’aspiratore è stato il Francesco Brancaccio che di giorno faceva il bagnino e di notte, con un cappellaccio in testa, era un aspiravino perfetto. Talvolta cadeva all’indietro, altre saltava in cima alla botte e cantava. Ressa bestiale. Tutti con un bicchiere in mano, chi con una caraffa, chi con un bottiglione. Si riempivano, tra gli urrah, i recipienti. Prosit a garganella. Si alzava allora lo struggente coro: “Vino, Vinello Torboli beviam…”. Ed era orgia apocalittica. Balli sfrenati, alcuni casti, altri un po’ meno, cadevano veli e qualche mutanda. Chi cadeva veniva calpestato. Il Franchino gongolava e contava ettolitri. Il Tète faceva il trenino con le miss scosciate e senza freni inibitori. C’era chi andava a fare il bagno, chi in bagno e chi, fatta la conquista, rovesciava i sedili della Cinquecento. La Notte di Bacco durava qualche ora. Finché il Franchino rotolava la Botte vuota giù per le scale e nel lago, e il Brancaccio tornava a fare il bagnino e si tuffava a salvarla. Che dire? Io, se potessi, alla Spiaggia la Notte di Bacco la rifarei, perbacco!
Vittorio Colombo