Nonna Gigiota racconta l’incendio di Bolognano
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Settembre 1987, nonna Gigiota racconta alla nipote Lara Tamburini: “Eravamo in Velo ed erano le otto di sera del 7 agosto del 1931. Era stata una giornata caldissima e minacciava un temporale. Un boato fortissimo squarciò l’aria: il cielo si è fatto rosso incandescente. Sotto di noi il paese di Bolognano era tutto un rogo. Ci siamo precipitati giù. Al Salve Regina abbiamo incontrato Tullio Ioppi, capo dei Pompieri. Anche lui era in Velo e stava scendendo di corsa. L’ho implorato: “Per amor del cielo, salva la me casa. Nó sóm asicurada, nó ciapo gnente!”. E lui: “Gigiota, se arivo ala tó casa prima che la ciapa foch, te la salvo!”. La mia casa era al limite del centro abitato. Sopra c’era solo campagna. L’abbiamo vista ancora in piedi, mentre pochi metri più sotto tutte le case erano un immenso rogo. Le fiamme arrivavano al cielo. La povera gente urlava, le bestie, quelle liberate dalle stalle, correvano all’impazzata. Sotto i tetti c’erano le balle di paglia. La paglia, mano a mano che il tetto bruciava, si alzava e, portata dal vento, saliva in alto in mezzo ai bagliori. Sembrava la fine del mondo tra fiamme, urla, invocazioni di aiuto, gente che piangeva e cercava rifugio e animali impazziti. I pompieri salivano sui tetti cercando di arginare le fiamme. Un aiuto venne dai militari accorsi da Riva. L’acqua era poca, ma dopo un po’ scoppiò un furioso temporale. Ormai però tutti i tetti erano bruciati. Si ergevano solo muri anneriti. La mia casa era stata salvata, perché sorgeva un po’ isolata e così, dalla campagna, avevano potuto buttare acqua. Venne salvata anche la casa dei “Dondi”, perché i Vigili vi avevano accesso dalla “Crosera”, così anche quel gruppo di case non venne toccato dalle fiamme. La “Crosera” era, nel frattempo, diventata uno straziante raduno. Le persone, donne, uomini, bambini e vecchi, si abbracciavano e piangevano con le mani nei capelli. L’aria era piena di fumo, bagliori e urla di disperazione. I miei compaesani avevano perso tutto. Erano senza casa, vestiti, beni, ricordi. Guardarli così era uno strazio che ti spaccava il cuore. La cosa più grave era che c’erano state delle vittime. Lo zio di Milena Amistadi era morto precipitando dal poggiolo in fiamme. La nonna del “Berto Mattia”, che non poteva scappare, vistasi perduta, morì dal terrore; la stessa tragica fine era toccata poi, alla Crosera, a una vecchina di 90 anni. Alcuni ladri, dei senza Dio, rubarono la roba che la gente aveva cercato di portare in salvo. Avevano rubato tanta roba anche a noi, quadri, biancheria e altro. La gente smarrita non sapeva dove andare. Erano stati messi in funzione qualche riparo e una cucina da campo vicino al cimitero. Ci si metteva in fila per un piatto di minestra e un po’ di pane e si dormiva, tutti ammassati e disperati, nelle stalle e negli avvolti rimasti. Noi ci siamo rifugiati nella casa dei Dondi. Sentivo tutta quella sofferenza e pensavo a casa mia, dove avevo nascosto in una scatola un po’ di soldi e le scarpe nuove che a quei tempi erano un lusso. A quel punto ho visto don Primo Michelotti, che scendeva le scale della mia casa con in mano qualcosa. Mi ha detto: “Varda, Gigiota, le tó scarpe e i tó soldi!”. Un piccolo miracolo, che mi ha riservato, almeno per me, un po’ di conforto in quella disgrazia. Bolognano non c’era più, solo rovine, macerie e anche morti da piangere. Siamo rimasti due anni senza casa, sempre peregrinando da un posto all’altro. Aspettavamo, come tutti i nostri compaesani, che si rifacessero le case e si potesse così ritornare alla vita”.
Vittorio Colombo