Nella casa di tolleranza di Riva elezioni a colpi di colla
Una volta c’erano i casini, nel senso di Case di tolleranza. Una volta c’erano i democristiani, quelli dello scudone dei crociati, chiamati “baciapile” perché, secondo gli avversari, erano sempre in ginocchio. C’erano anche i comunisti, quelli della falce e martello, che, secondo gli avversari, mangiavano i bambini. Insomma, parliamo di ere lontane, da dinosauri.
Andiamo con ordine.
A Riva, città da sempre all’avanguardia nei servizi, aveva questo bel casino, inteso come casa di tolleranza, che si trovava in fondo a via Marocco. Era un posto assai frequentato. Ogni quindici giorni c’era la rotazione delle “signorine” che venivano fatte girare in quello che era definito il “tour delle lucciole”, perché le novità, seppur in odor di riciclaggio, facevano miracoli anche in chi aveva gli arnesi dormienti. L’azienda, poi chiusa con tutte le consorelle dalla senatrice Merlin nel 1958, a Riva prosperava. Le “marchette” erano registrate con diligenza. Alla tutela sanitaria delle animatrici del locale ci pensava il dottor Alberti che era medico, e, in quel Dopoguerra del quale stiamo parlando, era anche Sindaco. Onori ed oneri da primo cittadino. Il casino era a un passo dal Municipio, per scelta strategica. I Consigli comunali, come ben si sa, sono spesso eccitanti. Infatti, non a caso, si parlava allora, con maliziosa allusione, di civico “con-sesso”. Quel simpatico posto era poi abbellito da luci azzurrine che fuoriuscivano, con contrappunto di sospiri, sulla allegra via Marocco. Era dunque, in ogni senso, il posto più “battuto” di Riva.
Raccontava la grande maestra Itala, che da ragazzina abitava in una casa con vista sul Municipio, che la sera, in quel quartiere, stavano tutti alle finestre prendendo nota di assidui e di insospettabili.
Va beh, e i partiti? Ci arriviamo… Allora si era alla vigilia delle elezioni del 1948, le prime del Dopoguerra, quelle che avrebbero segnato per mezzo secolo i destini dell’Italia dando una vittoria clamorosa ai democristiani di Degasperi ai danni del Fronte popolare di comunisti e socialisti.
Si tenevano comizi infuocati in piazza Cavour, in piazza Erbe e Tre Novembre e al cinema Perini. Si faceva volantinaggio, la città era battuta dagli attivisti di schieramenti contrapposti. Andavano in giro per lo più in bicicletta con i manifesti sulle spalle, il pennello, per comodità, tra le gambe e il bidone della colla attaccato al manubrio. Raid a tutte le ore, soprattutto di notte. Ed era un vero conflitto: le schiere di “attacchini”, composti da uomini e donne di ogni censo sociale e di ogni età, si scontravano, si insultavano, si strattonavano. Ripassavano più volte nella stessa notte per attaccare il proprio manifesto sopra quello degli avversari. Appiccicavano manifesti davanti ai bar e davanti ai cessi pubblici, sulle porte delle chiese e delle scuole, cercando la sempre maggior visibilità E, allora, qual era il luogo più popolare, più frequentato della città, quello da usare come straordinaria bacheca per i propri manifesti? con tanto di simbolo e faccioni di candidati? Ma, che bella scoperta, era, di sicuro, il casino di via Marocco.
Successe una bella sera nella casa degli amori mercenari. Nell’atrio signorile, con divanetti stile liberty e luci malandrine e con le ragazze di turno a far da corona, il manipolo dei degasperiani si trovò di fronte quello dei fedelissimi di Togliatti. Le pareti, alte e sontuose, aspettavano solo di essere “abbellite” con manifesti. Gli animi erano pentole a pressione. Esplose la rissa. Dagli insulti e minacce si passò ai pennelli usati come spade. Poi successe. Una attivista dello scudo crociato, nota rampolla di una casta di commercianti timorati, assestò una pennellata di colla sulla faccia di un noto rosso, uno dei leader degli attacchini che lavorava all’ospedale. L’incollato rispose con le stesse armi e la stessa tecnica. La “Madonna della colla” ebbe poi per un bel po’ problemi con i capelli che tenne a casco compatto. Ma non era che l’antipasto. Infuriò una battaglia epica a colpi di pennello e di schizzi e, ben presto, tutta la brigata, senza distinzione alcuna tra bianchi e rossi, risultò incollata. Le ragazze se la diedero a gambe e quella sera gli introiti furono davvero magri.
La vicenda deliziò i Rivani per diversi anni ed entrò di diritto nelle cronache. Ed è da allora che si cominciò a parlare di politici “incollati” alle sedie e non tramontò mai il detto popolare “il casino della politica”.
Vittorio Colombo