L’uomo che regalava sogni fiabeschi di… cemento

Vittorio Colombo31/12/20234min
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I sogni sono fatti d’aria. Sono vaporosi, leggeri e, quando ti svegli, scappano via. C’è stato, però, chi ha coltivato l’illusione di dare una consistenza ai sogni, così da poterli ammirare e perfino accarezzare.
Si chiamava Italo Marchi ed era il papà degli amici di Sant’Alessandro che fino alla chiusura dell’attività (nel 2007) si erano fatti conoscere come artigiani del cemento: il Luigi ed il Renato (Lino e Antonietta e gli altri figli) animavano un laboratorio che forniva fioriere, vasi, botti, balaustre, per lo più oggetti di utilità quotidiana. Ma l’Italo, il capostipite, vedeva nel cemento, materia povera ma plasmabile, qualcosa di diverso. Una porta per aprire universi altrove relegati all’immaginazione. Come muratore aveva lavorato, con la ditta Santorum e Lotti, alla costruzione di villa Cian a Torbole. Il Cian, talvolta, usava il cemento per le sue sculture, affidandosi anche a degli stampi preliminari. Quindici anni durò la costruzione di villa Cian. L’Italo mise a frutto il suo infinito apprendistato e cominciò a fare della lavorazione del cemento la sua professione. I figli spingevano carriole piene dei sassi della Sarca fino a Sant’Alessandro. La casa di famiglia era stretta, posta su diversi piani, con balconi e un’aia davanti dove i sassi venivano trasformati in manufatti di cemento. La casa c’è ancora, abitata da altre famiglie, e si trova a nord della trattoria Calzà.
Si facevano allora pali per le viti, botti e fioriere, ma l’Italo faceva anche altro. Faceva stampi per dar vita ad un mondo che gli riscaldava il cuore. Nel 1974 venne costruita la nuova casa a fianco del vecchio campo sportivo, dove i figli continuarono la loro attività. Italo per molto tempo continuò ad operare nella sua casetta, che divenne la dimora di fiabe. C’erano cervi, bambi, galli, galline, cani, gatti, volpi, scarponi e poi Biancaneve con i suoi sette nani, guerrieri e dame. Erano dovunque, sulle finestre, sopra le porte, sui balconi, sul tetto, e riempivano il cortile. Tutti di cemento e sapientemente colorati (le foto sono di Fabio Galas). La casetta divenne famosa e la gente veniva per ammirarla. I bimbi di allora, come chi scrive, immaginavano che quella casetta, di notte, si animasse e nani, guerrieri, donzelle e galline ballassero fino a quando non sorgeva l’alba. Si fermavano amici e l’Italo donava a tutti qualcosa. Ai turisti donava un cervo o una principessa, o quel che volevano. Non accettava soldi. “Mandatemi una foto con la mia Biancaneve o il bambi nel vostro giardino”.
È bello pensare che finché non scomparve, nel 1995, gli siano arrivate foto dai Paesi di mezzo mondo. Cartoline fin dal Cielo all’uomo che, usando il cemento con amore, regalava sogni di felicità.
Vittorio Colombo



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