Lo straccivendolo dell’hotel Sopramonte del Brione
Allora c’era quella tal grotta sul Brione. Era un buco nella roccia, poco dopo Forte Garda, a fianco della stradina che porta alla “Crós”, alla Croce, dove ci sono le antenne. Superfluo dire che c’è ancora e che rientra nel complesso di postazioni e buchi austro-ungarici. Quella grotta ha una storia, anzi, almeno due storie, che ci portano agli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Prima storia: l’hotel Sopramonte del Brione dello “strazèr”, in lingua forbita “straccivendolo”. Nei nostri anni Cinquanta girava per i paesi questo “strazèr”. Se lo incontraste oggi, vi verrebbe un colpo. Per farsi pubblicità vestiva di stracci stracciati, era un cespuglio semovente, perché barba e capelli, da vero eremita, erano chilometrici e saldati a blocco. Appariva spingendo uno sgangherato carretto di legno. Si piazzava nel bel mezzo della piazza del paese e il suo urlo, gracchiante e a squarciagola, faceva scappare le cornacchie. “Strazze, òssi, pèl de cunèl”: ecco cosa ululava. Che in lingua starebbe per “Stracci, ossa, pelli di coniglio”. E ogni tanto intercalava la litania “Dòne bele, dòne brute, vignì fora che gh’è ‘l strazèr”. Dopo l’annuncio faceva la sua via Crucis di porta in porta con quel suo urlo che le cornacchie proprio non sopportavano. Le massaie correvano fuori con maleodoranti carichi da piazzare a quel tipo, ormai popolare come lo stradino che ad ogni buca si faceva un bicchiere o il prete sempre in giro con il suo olio santo.
Secondo me le donne lo usavano per fare la “raccolta differenziata”, quella che oggi si chiama “Separati in casa e in caverna”. Lo “strazèr” buttava il ciarpame sul carretto che era la discarica semovente della vecchia Maza. Le “stràzze” non so proprio a che servissero. Le ossa erano buone per far pettini o dentiere, le pelli di coniglio le piazzava alla pellicciaia che ci ricavava la pelliccia di “lapìn”. Poveri conigli, che destino far da girocollo per serate al teatro Perini!
Per noi, bòci, era un eroe, tipo Sandokan, e il Mario diceva che il suo sogno era di diventare un bravo “strazèr” .
E la grotta sul Brione? Era la casa-deposito del mitico “strazèr”. Quel lavoro, anche se molto intellettuale, lo aveva reso forte come un toro. E lui, fatto il giro dei paesi col carretto che sembrava l’odierno camion della spazzatura, lo spingeva sui tornanti del Brione. Arrivato alla grotta, l’hotel Sopramonte del Brione, scaricava e accatastava il tutto nell’antro. Noi “bòci”, quando il titolare era in giro per affari, andavamo dentro in estasi. Era, credetemi, come essere nella Caverna di Alì “Strazèr” Babà e i Quaranta Ladroni, che poi eravamo noi. Con qualche osso facevamo archi e frecce e con le pelli di coniglio i berretti alla Davy Crockett.
La storia andò avanti per anni finché, da un giorno all’altro, lo “strazèr” non comparve più. Non più urlacci, le cornacchie ritornarono, le donne sugli usci attesero invano. Poi buttarono “strazze, òssi e pèl de cunèl” nel bidone della spazzatura, chi lo aveva, le altre nella “busa della grassa”, la buca del liquame che ingentiliva le case di allora.
Fattosi il segno della croce, perché lo strazèr li guardava dall’alto dei suoi cieli a stracci fosforescenti, gli uomini del cantiere comunale andarono su con il camion e svuotarono la caverna di tutto quel ben di Dio e dello “strazèr”.
E la seconda storia? Orca veh! lo strazèr mi ha fatto andar lungo. Resta in ballo quella del secondo inquilino della caverna-suite dell’hotel Sopramonte del Brione. Ve la racconterò. Promessa da pelle di coniglio.
Vittorio Colombo