La Torre Apponale? Spostiamola con i rulli…
La Torre Apponale, il simbolo di Riva, poteva anche andar bene lì dov’era. Dove, in fin dei conti, lì c’è sempre stata. E, del resto, come poteva essere altrimenti. Con l’Anzolim de la Tor a vegliare sopra i tetti e l’orologione rotondo che, da buon Rivano anarchico, ha sempre voluto farsi le ore e i minuti come meglio gli andava…
Ma perché accontentarsi se si può fare di meglio, grazie all’ingegno ed alla tecnologia, e a macchine per spostare pesi e arnesi come quelle che già, secoli fa, aveva progettato quel geniaccio di Leonardo? Tutto è possibile a questo mondo, pensate un po’ anche alle piramidi, figurarsi in un posto al di là dell’umana immaginazione com’è Riva.
Gli anni Quaranta del secolo scorso erano alle porte, quando il solito gruppo di amici, con in testa il Nino Molinari, decise che era il caso, ma proprio il caso, di spostare la Torre Apponale. Di quel tanto che serviva a sgombrare il “cantón” di via Gazzoletti e, prodigioso risultato, dare aria e respiro a piazza Tre Novembre e, nel contempo, aprire l’orizzonte e, con esso, lo splendore del colpo d’occhio sulle acque del lago nel porticciolo e sull’attracco di piazza Catena.
Detto-fatto, il gruppo di volonterosi occupò la zona e, con piglio professionale, cominciò ad effettuare rilievi in serie su piazza Tre Novembre.
I presunti tecnici, usando goniometri, paletti e diavolerie incomprensibili, effettuarono misurazioni per il lungo e per il largo, traguardando e tirando corde di traverso per segnare le linee. Era quindi apparsa perfino una postazione con un tavolo per fare i calcoli, i disegni, tanto quelli statici, quanto quelli non statici. Di tanto in tanto ecco che si presentava il Riccardo Barcelli, che scendeva per controllare il tutto, preoccupato che qualcuno gli avesse rubato il progetto, e non mancava mai di precisare che quel progetto era suo e di nessun altro.
I Rivani, che conoscevano la compagnia e le loro mattate, un po’ stavano al gioco, ma almeno un po’ erano, o perlomeno si fingevano, perplessi. E a quanti chiedevano che tipo di lavori si stavano facendo, il Nino e i suoi compari così rispondevano: “Il Comune ci ha dato l’incarico di spostare la Torre Apponale”. E quando, di rimando, qualcuno, più tignoso degli altri, insisteva: “E dove diavolo avete in animo di metterla?”. “Mmm… bel problema – rispondevano riflettendo – Una cosa alla volta, a quello ci penseremo, noi abbiamo solo l’incarico di toglierla da dove sta ora”. Come? Oh! alla tecnica di spostamento e di trasporto si era già pensato.
Così, trasportati a mano, comparvero dei lunghi pali. Venivano chiamati “i rulli”, che dovevano servire per spostare la Torre. Messi sotto e tutti a spingere, come si fa con la cassapanca del nonno, quella che pesa un disastro. Con l’arrivo dei rulli, fatti scivolare sul selciato di piazza Tre Novembre, che al serioso cospetto del Municipio aveva preso l’aspetto del cortile di una segheria, la mattata ebbe gloriosa fine. Comparvero cartelli di “fine lavori” e di presa in giro per i più o meno per finta, comunque divertiti e complici, Rivani creduloni.
Tra gli sfottò dei goliardi e dei concittadini la storia dello spostamento della Torre Apponale sui rulli andò avanti per giorni e giorni e, con il passare degli anni e dei decenni, entrò a buon diritto nelle leggende cittadine. Quelle che fanno dei Rivani una gente del tutto particolare.
Vittorio Colombo