La Fiera di Sant’Andrea e il pacco “Mi voglio rovinare!”
“Mi voglio rovinare. Non per mille, non per ottocento, e nemmeno per cinquecento, ma per sole quattrocento lire vi portate a casa questo favoloso pacco. E mi voglio rovinare ancora di più: ve lo do per sole trecento lirette”: questo strillava, con voce rauca ma suadente, l’imbonitore della fiera, assai noto come “el zarlatàm”. Svettava, colorato e gesticolante, sul cassone del suo camion aperto al suo solito posto, tra le bancarelle in viale Prati davanti all’RBP. Il tappeto di teste che gli stava davanti incantato era tale che da lì proprio non si passava. 30 novembre di tanti anni fa, fiera di Sant’Andrea. Si usciva alle 10 da scuola in libera uscita, i Rivani erano già tutti tra le bancarelle e dai paesi si riversavano in città carovane di donne e uomini, un tempo con i carri, poi con i pullman. L’imbonitore era il divo di quelle fiere. Le persone ammassate gli stavano davanti a bocca aperta. Lo spettacolo più bello era con le prime ombre della sera, in uno scenario di luci che pulsavano gioia. Tutti aspettavano il cerimoniale. Il protagonista mostrava uno scatolone, grande e foderato di una carta che sprizzava stelle. Poi annunciava con fare di un consumato banditore del reame: “Siore e siori, che ci vado a mettere nel pacco dell’operaio, del lavoratore e del gran signore?”. La marea di teste annuiva, gli occhi dei bimbi si spalancavano, le bocche si aprivano. E il principe delle illusioni, con mosse lentissime, cavava fuori da sotto il banco le dieci meraviglie del mondo. Quindi lanciava in alto una decina di piatti che danzavano nell’aria e poi si tuffavano, in ordinata schiera, nel pacco aperto. Poi era la volta di un mestolo gigante, un orsetto di peluche, quindi una bambola che, rovesciata, diceva “mamma”, un paralume, una pistola giocattolo, un berretto tirolese, un reggiseno gigantesco… tutto in un crescendo elettrizzante, fino al regalo, allora oggetto di mille desideri: una radiolina. Il sogno di quanti al campo Benacense, la domenica, la tenevano all’orecchio per il “Calcio minuto per minuto”.
Il pacco delle meraviglie veniva rinchiuso. E allora il fantasista, tenendo ben alto lo scatolone, recitava il suo ritornello: “Mi voglio rovinare, non per… ve lo do a sole trecento lire”. Un tripudio di mani alzate: “A me, a me!”. L’aiutante cavava dal cassone miriadi di pacchi già confezionati e iniziava la miracolosa distribuzione: dal palco il pacco, dalla folla degli ammaliati il mucchio di soldini. Ma erano molte e diverse le lusinghe strillate alla fiera di Sant’Andrea. E, dunque, ecco un altro classico: “Siori e siore, ancora mio nonno veniva in questa piazza a vendere stoffe inglesi finissime. Io ve le do per meno. A quella signora che mi guarda sorridendo, a lei e non ad altri, la voglio dare a metà prezzo. Se qualcuno alza la mano gli do sopra una stoffa pregiata…”. E ancora: “Qui ho un taglio di vestito di tre metri, andiamo a mettergli sopra un altro taglio, e poi un altro taglio ancora e uno scampolo per bambini”. Poi, tornati a casa, tutti intorno al tavolo con gli occhi lucidi dall’eccitazione. Ma, accidenti, la radiolina gracchiava. Ma anche muta, faceva la sua bella figura, E il presepe festoso delle meraviglie del pacco facevano già Natale,
Se hai visto tutto questo in viale Prati, la sera della fiera di Sant’Andrea, chiudi gli occhi: rivivi l’immagine e risenti la voce del caro “zarlatàm”, che dispensava scatoloni di sogni e di felicità.
Vittorio Colombo