La Befana Zorro e il piccolo delinquente
Il giorno della Befana al mio paese, Sant’Alessandro, era festa grande. Quelli della Pro Loco arrivavano con un carrettino in piazza. A bordo c’era un tizio vestitito da Befana. La piazza era gramita e venivano distribuiti doni ai bambini.
Noi di prima Elementare facevamo però la “Befana alternativa”. “Dove hai lasciato la scopa, Befana che non sei altro?” cantavamo in coro alla femmina di turno che, giovane o vecchia, quasi sempre rispondeva: “Lazaroni! Se ve ciapo…”.
La nostra tradizione era iniziata con la “Ciarina”. Era grande un soldo e rotonda, anche perché aveva addosso quattro maglioni. “Befana Ciarina, dala panza molesina” si cantava sull’aria si Stille Nacht. Era bello perché lei ci inseguiva dandoci ombrellate in testa. Qualcuna delle nostre “vittime” rideva, qualche altra ci rincorreva, ma noi eravamo veloci come gatti. “Quella noooo!” mi aveva gridato il Marietto. Ma ormai ero lanciato. “Befana Zorro, tàgliati i baffi!”. Ero proprio spiritoso. Così mi è arrivato un ceffone che mi ha steso a terra. Bei amici, tutti a spanciarsi dalle risate. E lei: “Piccolo delinquente! non finisce qui!”. Non so come si chiamasse la donnona. Per noi era Zorro. Vestiva sempre di nero, aveva capelli radi, ciglia spesse e unite e, sotto il naso, dei baffi o qualcosa di simile. In un paese animato da personaggi strabilianti, dal ciclista equilibrista alla damigiana vivente, lei, tutta nera, era “la Zorro”. Il giorno dopo torno da scuola. Comincio a dar forchettate alla pasta e ho, sul tavolo, accanto al piatto, l’ultimo giornaletto di “capitan Miki”. La mamma mi afferra un orecchio. Mi dice: “A Messa Prima la signora Pinuccia mi ha detto… È una brava donna, vedova, non vede da tanto il figlio che è in America. Andrai a chiederle scusa”. La guancia mi fa ancora male, capisco che parla della Zorro. Rischio di finire a letto senza cena. Vado e suono il campanello. Mi apre lei. Faccio finta di essere addolorato. Occhi al pavimento. “Buongiorno, signora Zorro… Ah! scusi, signora Pinuccia”. Lei mi invita a entrare e mi fa sedere. Mi scappa l’occhio. Sulla credenza ci sono due foto. Vede che le guardo e dice: “Mio marito se n’è andato presto, mio figlio sta in America, da parenti. Vuole restare là, ha un lavoro e una brava ragazza”. Una lacrima le scende dall’occhio sinistro. Cerco di consolarla: “Per suo marito non c’è niente da fare. Vedrà che suo figlio, se non muore, verrà a trovarla”. Lei versa lacrime anche dall’occhio destro. Cerco di schivare uno schiaffo, ma è una carezza quella che mi arriva sulla testa. Poi, tirando su col naso, mi dà tre biscotti Plasmon e una tazza di cioccolato caldo. Torno a casa. È ormai notte. Non so che mi succede, ho il magone, ma tengo duro. Sdraiato sul letto, leggo la striscia di capitan Miki. Il piccolo Ranger lotta contro Magic Face, uno che, come me, cambia i connotati quando vuole. Ma ho la testa altrove. Sento un tarlo che mi rode dentro e non vuol saperne di lasciarmi in pace. Guardo il soffitto e mi asciugo una lacrima. Sarà il raffreddore, mi dico. Succede… Anche i piccoli delinquenti hanno un cuore… purché non si sappia in giro.
Vittorio Colombo