Il piccolo delinquente mette in strada la Ciarina
La maestra ce l’aveva messa giù dura: “Siete degli Zulù!” e aveva lanciato il concorso “Fai una buona azione o andrai in riformatorio”. Io che le avevo detto “cretina” ero, per lei e per tutta la scuola, il “piccolo delinquente”. Ma ora, come ne “I Miserabili”, avevo l’occasione per imbiancarmi l’anima traviata. Avevo visto sul giornalino “Il Monello” Superbone, piccolo delinquente dichiarato, premiato con un rosario per la buona azione super: aiutare l’anziano ad attraversare la strada. Anche i miei amici erano come me, alla frutta. Così abbiamo unito le nostre debolezze. A Sant’Alessandro, il mio paese, c’erano perfino le strade. C’erano anziani esagerati che avevano anche più di trent’anni. Vere groste, per lo più. E dunque…
L’inizio è stato promettente. C’era la perpetua che era andata dal Milio Calzà “Fadàl” a fare la spesa. Sguardo da nonna del Corsaro Nero e sacchetto arpionato alla mano. Finalmente, eccola la buona azione! Io e i piccoli missionari all’assalto. Io le tiro un braccio che scricchiola, il Mario strattona la borsa per sollevarla dal peso del baccalà. “Ladri! Assassini!” urla e giù una bestemmia. In un amen esce dalla macelleria il Rico “Bechèr” che brandisce una mannaia. Via di corsa.
Sette gatti leccano la carta oleata che, senza più baccalà, a terra non è più tanto oleata. Strilla la perpetua: “Lo dirò ai tuoi, piccolo delinquente!”. Io ero fregato, una celebrità ormai. Poi, rivolta a tutti: “Niente pallone di cuoio del parroco!”. Rubiamo ciliegie per la disperazione.
Ho la lampadina accesa quando vedo la Ciarina che avanza ballonzolando. Usa l’ombrello come un bastone. È una meraviglia. Alta come me, quasi un metro e trentacinque, un quintale per non far torto a nessuno, due cappotti dell’esercito addosso e i baffoni da Pedrito el Drito.
Per me è un angelo piovuto, come si diceva allora, dal cielo per troppo peso. Mi avvicino e la saluto con la mia solita cortesia: “Ciao, Ciarina, dala panza molesina”. Scanso un paio di ombrellate e le dico: “Ti aiutiamo ad attraversare la strada”. E lei: “Ma io non traverso la strada, cammino in mezzo”. Bel problema, va beh. La Ciarina, regina delle feste rivane e dei paesi, di “Polenta e mortadela” a Varone e di “Pane, vino e pesciolino”, vive di avanzi e di elemosina. È spirito libero, ma è corruttibile. Torno alla carica: “Cinque lire per attraversare la strada”. Facciamo colletta. Per un po’ una attraversata al giorno. E sotto le finestre della scuola, proprio nella piazza davanti alla vecchia Chiesa. Lo scellerato patto va a meraviglia. Rinunciamo alla liquirizia e paghiamo i trasbordi. Lei, la Ciarina, è una palla ondeggiante al centro di un sistema. Due la sorreggono ai lati, uno la spinge da dietro, mentre un altro davanti fa strada. Durante il rito, poi, sempre alla stessa ora, si alza l’urlo: “Macchina, macchina!”. La comitiva si blocca in mezzo alla strada, che sembra il presepe con il bue e gli asinelli. Il capocomitiva si para davanti alla macchina del dottor Vincenzo de Lutti, una delle poche in giro, che svoltato l’angolo della chiesa si appresta a imboccare la salita verso la villa. La buona azione valeva così il doppio.
Quando, qualche anno più tardi, la Ciarina è morta, ci siamo ritrovati, io e quegli amici, in piazza. Qualcuno ha detto ricordandola: “Qualche angelo ti avrà pur aiutato ad attraversare l’ultima strada, quella che porta in quel cielo che accoglie tanto i cristiani quanto i piccoli delinquenti e gli emarginati”.
Nell’aria un sentore strano, come di un’assenza: la perpetua, il baccalà leccato dai gatti, la mannaia dei Rico “Bechèr”, l’auto del dottor Vincenzo, la Ciarina che ci dava ombrellate… Stavano diventando grandi e diventavano sempre più evanescenti quelle storie da piccoli delinquenti di un Paese scomparso ormai da tempo, come i nostri sogni.
Ciao, Ciarina, dalla panza molesina, prezzolata, attraversatrice delle strade e dei destini di quel nostro caro, antico mondo di Paese per la bella cifra di cinque lire.
Vittorio Colombo