Il Natale era quando i bambini facevano… la carità al fuoco

Vittorio Colombo25/12/20214min
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Un tempo ormai lontano, quando in ogni casa vi era un camino, a Natale si svolgeva il rituale del “ceppo”. I nostri nonni raccontavano storie che forse qualcuno di noi ha vissuto. O forse ne ha ricordi lontani. Bisogna tornare al primo Dopoguerra, poi la civiltà contadina anche da noi ha vissuto qualche stagione nella memoria dei vecchi, e poi…
Ma non è questo un elogio del bel tempo andato, perché allora c’erano fame e miseria e la nostalgia spesso porta a dimenticare i travagli dei nostri padri e nonni. Se c’è un ricordo lontano che riaffiora, prepotente, come una benefica vampata di calore è perché tornano, con le suggestioni del Natale, parole dimenticate come quelle che dicevano che, allora, “i bambini facevano la carità al fuoco”. Andavano nella legnaia, un posto freddo e scuro da far paura, sceglievano il ceppo più grosso e prima di sedersi a tavola per la cena lo mettevano sul fuoco.
“Nella notte di Natale – racconta oggi un testimone – la mia nonna mi raccomandava si mettere un grossissimo ciocco di legno sul focolare. Quando non c’era più il focolare, lo si metteva nella “cucina economica”. Questo ciocco doveva bruciare lentamente tutta la notte dalle 21 alle 6 del mattino. Questo ciocco che bruciava e il calore che emanava tutta la Santa Notte serviva alla Madonna per asciugare i “panisei” (gli antesignani dei pannolini) del bambino Gesù. Nella mia memoria non c’è stato un anno che questo ciocco non sia stato acceso finché visse mia nonna. Purtroppo ormai le cose sono cambiate e non credo che nessuno abbia mantenuto questa tradizione”.
Nelle tradizioni popolari c’è ampio spazio dedicato al “rituale del ceppo”, di origine nordica ma diffusa in tutte le regioni d’Italia, compreso il Trentino. Si dice che il significato originale fosse legato al fatto che “la luce emanata dal ciocco di legno bruciante per tutta la notte serviva ad allontanare la negatività del buio e del freddo, simboleggiando il calore vitale del sole”.
Poi il Cristianesimo vide nel ciocco “albero della vita e del sole” la figura salvifica del Cristo.
Ma anche nelle case dell’Alto Garda e del Ledrense i bambini attendevano con trepidazione e orgoglio il momento: un pezzo di legno che portavano a fatica, tenendolo in braccio come un bambino appena nato e poi, quando iniziava la notte della Natività, la notte dell’arrivo della luce, lo donavano al fuoco. C’era in quel rituale, tra il pagano ed il cristiano, il perpetuarsi di una tradizione, di un patto tra uomo e natura, tra uomo e quell’elemento vivificante che è il fuoco, ma, quello che oggi mi dà maggiore emozione, al di là di tanti significati, è la scoperta che era quella la vera e autentica gioia del donare. Il bambino che dona un pezzo di legno al fuoco.
E se oggi per il bambino è scontato e perfino noioso buttare lì “Per Natale mi regalano un telefonino, un videogioco” allora, oramai moltissimi anni fa, c’era un bambino che donava un pezzo di legno al fuoco. In tutte le case il ceppo bruciava lentamente, per far durare la notte, per far durare i sogni che danzavano nell’aria come faville, rischiarati dalla luce e dal calore.
Perché, allora, ma si sa come sono i ricordi, in ogni casa si andava dicendo che i sogni fatti nella Notte di Natale erano destinati ad avverarsi.
Vittorio Colombo

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