Il Commissario di Riva e i “bìgoli” della Cristina “Bacolina”

Vittorio Colombo02/07/20234min
figli della lupa 1939

Il commissario Nardocci era un potente. Negli anni Quaranta, epopea fascista, solo a pronunciare il nome Nardocci i Rivani tremavano. Era infatti il Commissario ed esercitava le sue funzioni di capo della sicurezza pubblica nel modo più rigoroso possibile. Con le parole che facevano tremare e con il portamento, austero come richiesto da un simil ruolo. Aveva il suo sacrario in Pretura, o meglio Ufficio di Pubblica Sicurezza, perché il Commissariato si trovava allora nello stesso fabbricato.
La sua “vittima” designata era uno spaurito agente che doveva essere sempre pronto ad eseguire i suoi ordini; aveva perennemente lo sguardo triste di chi deve portare sulle spalle il mondo.
Di tanto in tanto gli animi degli impiegati si rasserenavano perché arrivavano, forti e chiare, le strofe del canto “Siano i figli della lupa”, che accompagnava la marcetta che si svolgeva giornalmente su Viale della Magnolie ad opera dei piccoli della prima Elementare accompagnati dalla maestra Camelli. Le figure storiche che operavano nel palazzone erano l’usciere Paris, l’ufficiale giudiziario Baldi, l’Arrigo Lutteri allo Stato Civile e, al Penale, il facente funzioni di “sotto-vice-cancelliere” Nino Molinari, al quale si devono questi e molti altri ricordi che disegnano una Riva ormai finita nei cassetti della memoria. Vi lavorava inoltre il Bepi Dal Rì, maestro nell’uso del “normografo”.
Potevano succedere, visto l’ambiente, cose strane. Un giorno il Dal Rì prestò lo strumento al “sotto-vice-cancelliere” Molinari per l’intestazione di alcune cartelle. Terminato l’uso, il Molinari si sentì in dovere di lavare con cura la pennetta per togliere il residuo di inchiostro di china che veniva usato. Per questo lo “resentò” nella vaschetta posta a mezza altezza della stufa, ritenendola piena d’acqua calda. Sentì un urlo terribile e soltanto una rapida ritirata evitò guai peggiori al Molinari che aveva “resentato” la pennetta nel minestrone che il Dal Rì aveva in caldo per la cena.
Intanto il Nardocci, sempre assecondato dall’assistente impaurito, imperversava portando avanti indagini su crimini veri o presunti. Un bel giorno, opportunamente convocato per avere delle informazioni, si presentò al Commissario Nardocci un personaggio assai noto a Riva come la Cristina “Bacolina”, un soprannome che, probabilmente, le veniva da una certa vaga somiglianza con un piccolo baco da seta. La Cristina “Bacolina” si presenta all’agente di supporto fuori dalla porta dell’ufficio. Il Commissario la vede e, facendo sfoggio della delicatezza che lo contraddistingueva, apostrofandola come fosse l’ultimo dei subalterni, le impone severo un “Vieni avanti, vecchietta!”. Al che la nostra Cristina, che accompagnava alla modestia della sua persona un temperamento tutto pepe, rivolgendosi al Nardocci disse tutta d’un fiato, certa di esprimersi in perfetto italiano: “Del ti a me? Ònte mai magnà i bìgoli con lei?”. E fu allora, per la prima volta, che l’agente vittima sorrise. Poi, divulgato l’accaduto, sorrise tutta Riva.
Vittorio Colombo

 



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