Il bambinello Gianni salvato dalle acque
“Mi chiamavano il bimbo salvato dalle acque” dice Gianni Torboli, storico velista di stazza. E racconta: “Anno 1949, sono nato il giorno di Natale. Un destino il mio, tanto di presepe con barcarói al posto dei pastori e i cavazzini al posto delle pecore. Polenta e cunèl a volontà, non per niente venni al mondo con una stazza di 5 chili e quattro etti”.
Anni Cinquanta, Sessanta e poi… la famiglia Torboli vive in piazza San Rocco, a pochi passi dal lago. Ad un refolo di vento c’è la Centrale idroelettrica dove papà Italo lavora; dall’altra parte, passata la Rocca, si arriva alla Fraglia. Sono le boe della regata esistenziale dell’Italo Torboli, con la sua star “Mimma”, il più famoso e fotografato velista del Garda. L’Italo metteva in acqua la barca a Pasqua e la tirava a secco il 4 novembre, dopo la cerimonia dei Caduti del mare, o dell’acqua in generale. Era proprio una gran cerimonia con imbarcazioni e autorità. “Si lanciava in acqua una corona d’alloro, ed io piccolo, ma solo d’età – dice Gianni – ero sempre comandato a bordo della barca di papà”.
A proposito di Caduti e caduti… “Era uno di quei 4 novembre, io avevo cinque anni – dice Gianni – e tanto di cappotto e scarpe. Inizia la cerimonia. Io finisco in acqua, vado giù come un piombino. Papà si tuffa, si immerge e mi ripesca. Mi recuperano sui sassi, davanti all’hotel Sole. Mi levano i vestiti fradici e mi avvolgono nella pelliccia della professoressa Tartamella. Così nudo, dentro la pelliccia, mi portano con la banda che suona inni patriottici fino in piazza del Municipio, dove c’erano i discorsi, in processione, come Mosè salvato dalle acque”. È una straordinaria festa popolare. Con tutta Riva a portare in trionfo il bambinello miracolato, salvato dalle acque del Garda, di sicuro per intercessione della Madonna, quella del capitello dei barcarói del Ponale. Ma l’episodio non è senza conseguenze, spinge infatti il padre a prendere una decisione Non sia mai che il figlio dell’Italo abbia paura del lago. “Papà mi legava come un salame con una fune sotto le ascelle, che ancora mi sanguinano, e mi buttava in acqua davanti all’hotel Sole. Diceva:«Quando te sé con tó papà nó te deve avérghe paura de nient» e mi tirava con la fune di qua e di là come n’anguila ‘mbriaga”.
“Papà – ricorda ancora Gianni – mi ha insegnato la marineria, i segreti del lago e i trucchi per le regate. Allora, nella cucina di casa in San Rocco, era sempre ora di pranzo e cena. I due panini piazzati a mò di barche al centro della tavola, tra i piatti di pastasuta, erano io e il mio avversario. Mia sorella Mimma brandiva una luganega che segnava la direzione del vento, i bicchieri poi erano le boe. Mentre a forchettate vigorose la pastasciutta spariva dai piatti, i panini-barche si inseguivano e si davano battaglia tra la bozza del vino e i piatti di trippe che non mancavano mai. Allora mamma Annetta, casalinga che si alzava alle 5 per far da magnar come se deve, urlava esasperata: “Basta vele! nó se ne pol pù!”. E invece era sempre vela e vele sul lago e in casa. Poi mamma Annetta, sarta formidabile, dava il meglio di sé quando, sempre in cucina, si dava alle riparazioni con ago e filo e con la macchina da cosìr. Ricuciva le vele e, sorridendo, non mancava mai di ricordare quando l’Italo, quel 4 novembre, con un gran tuffo aveva salvato dalle acque il suo bambinello.
Vittorio Colombo