Cocco Bill, il Maresciallo e i venti pistoleri

Redazione26/01/20255min
Lino Betta Cocco Bill - Copia

Lino Bonora Betta racconta: “Era il 1959 ed io avevo 15 anni. Lavoravo come idraulico nella ditta di Vittorio Risatti. Quella volta dovevamo aggiustare, con dei rattoppi, i canali di scolo della caserma dei Carabinieri che, allora, era in via Pernici, proprio di fronte all’area dei Luna Park (oggi elementari “Nino Pernici”). Sono sul tetto e, per sfiatare, tiro via alcune tegole. Viene alla luce un borsone, lo apro e faccio un salto. Dentro c’è una ventina di pistole. Sono di tutte le misure e di tutti i tipi, un vero arsenale. Che diamine? Rimetto a posto le tegole ma, ogni sera, finito il lavoro sul tetto, prendo un paio di pistole e le metto nel bidone del “minio”, la sostanza di colore rosso che serviva per riparare i canali. Esco dalla caserma indisturbato. Mi pareva di essere un gangster in libera uscita.
I miei amici erano fuori di testa. Tutti volevano la loro pistola. E io: “Come la vuoi? da cow boy a tamburo o una Luger tedesca?”. Così la sera andavamo in giro con la nostra bella pistola in tasca. Facevamo a chi la estraeva più svelto, come nella sfida all’Ok corral del film. Bene, cioè male. Succede che un giorno andavamo a giocare a carte al bar delle Acli. Il mio amico pasticciere “Costola” Tonolli mette la pistola sul tavolo e dice: “Chi bara lo faccio secco!”. Informano monsignor Bartoli che, invece di dire un rosario, che fa? Va dai Carabinieri! Fa il mio nome.
Il maresciallo Vinci mi blocca e mi chiede: “Quante sono le pistole?”.
E io: “Due”.
“E dove sono?”.
E io: “A casa”.
Mi strattona fino a casa. Abitavo allora in viale Dante di fronte al bar Trento. Lo porto nella cantinota, sposto un’asse.
“Eccola!” e la consegno.
Il Maresciallo becca poi il “Costola”, indicato come il possessore della seconda.
“Quante sono le pistole?”
E il pasticciere: “Tre!”.
Il Maresciallo diventa rosso e sta per scoppiare:
“Insomma, due o tre?”.
E ci scuote come materassi.
“Sono venti!” confesso. Tanto… lo sapeva già, lo sapeva mezza Riva e il Vinci aveva già i nomi dei pistoleri. Un paio di nomi erano stati fatti per sviare le indagini. Uno era quello di Mimmo Ballardini. Al Vinci che lo interroga dice: “Io non ho una pistola, ho a casa un fucile!”.
“Santo iddio!” – fa il Maresciallo – Portalo subito in caserma!”. Così succede.
Intanto il Maresciallo ci convoca tutti, Mimmo compreso. Stessa ora, stesso luogo: in caserma.
Una ventina di ragazzotti, più o meno pentiti, qualcuno piangeva, i più duri a denti stretti.
“Finirete in galera” minaccia il Vinci, che in fondo è proprio un buon diavolo. Tutti avevano portato il corpo del reato. Le pistole facevano un bel mucchio sulla scrivania.
I miei amici, alla domanda “Chi le ha prese?”, mi puntano.
Sbianco. “Tu, dove le hai rimediate?”.
Io spiffero tutto. Saliamo sul tetto della Caserma. Alzo le tegole e appare il borsone. Lo apro, due belle pistole ci guardano da sotto in su. Il Maresciallo accusa il colpo. Lo tengo perché rischia di cadere di sotto.
Di sicuro si chiede: “Ma come? Proprio sul tetto della mia caserma? E adesso?”.
Torniamo in ufficio.
Il Mimmo, nel frattempo, ha calato l’asso. Il suo papà ha messo in pista il suo illustre fratello, l’avvocato Renato Ballardini, perfino Parlamentare.
Il super avvocato affronta il Maresciallo e gli intima: “Li rilasci tutti, questi ragazzi, o devo procedere per omessa custodia delle armi”.
Così siamo liberati. Ma per me la sorte era segnata.
Anche se sono passati quasi settant’anni da allora, se mi chiamano “Lino”, io manco mi giro. A Riva e dintorni mi è stato cucito addosso il nome del personaggio del disegnatore Jacovitti. Io, da quella storia del 1959 sono, e sarò sempre, Cocco Bill, il pistolero alla Camomilla”.
Vittorio Colombo