Cinema Roma, lo spettatore che pregava ai film sexy
Negli anni Settanta fecero furore i film sexy all’Italiana, quelli di “Giovannona coscia lunga” e dei Pierini, con star davvero acqua e sapone perché sempre sotto la doccia, del calibro di Edwige Fenech, Gloria Guida e Nadia Cassini. Il cinema Roma, a furor di popolo, più o meno infoiato, ogni mercoledì proiettata uno di questi capolavori. Il cinema, per l’occasione, era gremito. Qualcuno se ne gloriava, qualche altro se ne sbatteva, ma c’era anche chi si vergognava. Che sarà mai? Tutto naturale e simpatico, ma allora erano tempi un po’ bacchettoni.
Viveva allora in quel di Riva un uomo assai timorato. Noto per il suo essere un esempio di moralità. Citato nei catechismi e nelle prediche, molte all’insegna dello slogan “Siam tutti peccatori”. Ma la carne è debole, quando c’è trippa per gatti. E diavolo e acquasanta erano binomio che travagliava le coscienze, e le incoscienze, umane. Il Nostro passava così, di certo con travaglio indicibile, dalle funzioni alle proiezioni. Che fanno anche rima. Entrava al buio, A film iniziato ed era già un tormento perché perdeva i primi dialoghi filosofici ed escatologici (per qualcuno talmente noiosi che fanno girare le scatole). Si accucciava nella fila in fondo, tirava su il bavero, e “Alè, forza Fenech”. Ma, come succede nelle storie bibliche, imperversava allora in quel di Riva un gruppo di giovinastri. Erano anche sportivi noti, ma dannavano le loro anime in serate ai bar, Italia e Maroni soprattutto. Ed erano veri critici cinematografici laureati in film sexy e a luci rosse-annacquate.
Ben presto il Nostro venne individuato e scoperto. E allora, pensando di fare cosa gradita, da gentiluomini qual erano, sostavano a un passo dalla postazione buia del Nostro e, “Ohh, guarda chi abbiamo, il signor Tal dei Tali, che piacere, buona sera, signor…” e via, a gran voce con nome, cognome, soprannome, patronimico. Mancava solo la via, il numero civico e il numero di scarpe.
Il Nostro, distrutto dagli agguati e nel panico per possibile pubblicità stracittadina, escogitò un sistema. Quando le luci stavano per accendersi, tra il primo e il secondo tempo, balzava in piedi. E come un razzo andava a chiudersi nel cesso cinematografico. Detto anche gabinetto, o ritirata. Fate voi. C’è da dire che in quelle serate gli incontinenti, i “pisoni”, e perfino gli onanisti, erano alla disperazione. Battevano alla porta del cesso e una voce, ben presto nota, arriva flebile da dentro: “Occupato”. Roba da farsela addosso. Poi, repetita iuvant, stessa solfa con ritirata, quando iniziavano i titoli di coda. Accese definitivamente le luci, c’era il momento più pericoloso. Quella dell’uscita della mandria accaldata dalle esibizione culturali delle Edwige, Glorie e Nadie. I giovinastri però, ispirati da Belzebù in persona, scoprirono l‘arcano. E si piazzarono davanti all’ingresso del Roma in trepida attesa. Il Nostro, tirato su il bavero, che sembrava il segugio di Marte, prima o poi, meglio se poi, usciva dal cesso, e, strascicando i piedi rassegnati, passava le forche caudine. Ed era tutto, un “Ohh, chi si vede? Buonasera, signor Tal dei Tali, e via con nome, cognome e numero di scarpe. “Piaciuto il film?”. Un massacro. Una bella sera il Nostro decise di prenderli per sfinimento. E rimase nel cesso cinematografico, deciso a far mattina. Venne però stanato dal proprietario e dalla cassiera allertati dai giovinastri. Era mezzanotte quando il Nostro uscì. E, da quella disgraziata notte, finirono per il Nostro le Giovannone cosce lunghe, le Edwige, le Glorie e le Nadie. La Chiesa trionfò per il recupero della pecorella smarrita. Il Roma perse uno spettatore. E il Nostro pianse, come si sul dire nelle storie, per sette giorni e sette notti.
Vittorio Colombo