Angelo, l’ultimo vetturino e il cavallo requisito dai Tedeschi

Vittorio Colombo14/08/20225min
ok.1936.37.Betta Angelo vetturino Masetto, storia note. - Copia

Angelo faceva il vetturino ed aveva un bel cavallo. Abitava al Masetto ed aveva un cognome piuttosto diffuso, “Betta”. Molti dei Betta sono tuttora ben noti come “Cecóni”. Tale sorta di cognome aggiunto deriverebbe, secondo taluni, dal fatto che all’inizio del Novecento molti lavoravano come trasportatori per gli Austro-ungarici dell’imperatore “Cecco Beppe”. Ma torniamo a bomba. Angelo amava il suo mestiere. Aveva una signorile carrozza. Faceva servizio a Riva e dintorni. Turisti, forestieri, ma anche locali. Perfino sposi che portava alla chiesa. Come gran parte dei vetturini dei primi decenni del secolo scorso teneva il suo cavallo con la cura che si ha per un figlio. Biada di qualità, carezzevoli spazzolate, paroline sussurrate negli orecchioni. Si sa, tra l’uomo e il cavallo, in simili circostanze, si crea un rapporto di serena intimità e di affetto.
Tutto galoppa a meraviglia per un ben po’. Fino a quando, siamo negli anni Trenta, non irrompono le automobili, Prepotenti, fracassone, amate da snob e Futuristi con il mito della velocità.
E, nella categoria dei vetturini, c’è chi sposa il progresso e sostituisce quattro zoccoli con nitrito con quattro ruote con rombo di tuono di motore. L’Angelo per un po’ è perplesso. Poi cede alle lusinghe e si adegua. Parcheggia nella stalla il cavallo che, per via degli anni, comincia a battere in testa. E, meraviglia, compra un’auto. L’anno è il 1938. “Chi lascia la strada vecchia per la nuova con un catorcio a volte si ritrova” dice un famoso adagio. E infatti l’auto è inaffidabile. Ha sempre una magagna. Non è bello per un dignitoso vetturino far scendere i clienti e, tra il fumo del radiatore, mandarli a piedi alla cascata del Varone! Metteteci anche il fatto che le maledette riparazioni costano un occhio della testa. La macchina perde i pezzi e l’Angelo la pazienza. Così prende una decisione romantica. Fregandosene del mito del progresso torna al cavallo come propulsore fidato. Investe i soldi rimasti dalle riparazioni in un nuovo cavallo. E tra il vetturino Angelo ed il nuovo cavallo è subito feeling, tra schiocchi di frusta e nitriti di felicità. I vecchi clienti applaudono e lo stesso fanno i turisti. “Com’è delizioso andar sulla carrozzella sotto braccio alla tua bella”, e via per le strade, per lo più bianche.
Convivono così, in quegli anni, due scuole di pensiero: i vecchi vetturini con carrozza e cavallo ed i modernisti che puntano sull’auto. Viene, ahi! noi, la guerra. Le cose precipitano dopo l’8 settembre del 1943. I Tedeschi, anche a Riva come dappertutto, arrestano e portano nei lager gli Italiani trovati in divisa e iniziano a razziare ogni cosa che abbia valore o utilità. Gli alberghi, dal Lido al Riva, all’Europa, sono ospedali militari. Il Lido è un presidio ospedaliero enorme. I Tedeschi vi portano i militari feriti su tutti i fronti. Molti Rivani vi lavorano, tra questi anche Renata, figlia di Angelo. Al Lido, con una schiera di compagne, lavora come sarta. Rammendano lenzuola, divise, biancheria.
Angelo, nei tempi bui, si arrabatta. Fa qualche servizio con la sua vettura dei bei tempi andati. Siamo ormai nel 1944, a pochi tiri di mortaio dalla battaglia che, a fine aprile, libererà Riva. Un brutto giorno si presentano al Masetto dei militari tedeschi. Non hanno faccia e non hanno cuore. Prelevano dalla stalla il cavallo e lo caricano su un camion. Destinazione Germania.
Angelo guarda il camion che se ne va. Restano i ricordi di un vecchio vetturino, l’ultimo che si ostinava a credere nell’immortalità delle cose belle, a credere che quel passato, che pure c’era stato, come ricorda la foto del cavallo e della carrozza che tiene in mano come una reliquia, non sarebbe mai tramontato. Il Dopoguerra è alle porte. Le auto, i taxi avrebbero mandato per sempre in soffitta la storia di Angelo “Cecóm”, vetturino del Masetto. Forse l’ultimo di una Riva che troppo spesso dimentica le storie di uomini, a torto, definiti “non illustri”.
Vittorio Colombo

 

 

 

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