A Riva tutti col sombrero… e si mangiavano i limoni del Fava
Los hombres rivanos col sombrero? Messicani… macché! rivani e turisti nei fantasiosi anni Cinquanta del secolo scorso quando Riva, per qualche estate, sembrava davvero una città messicana. A creare l’illusione (l’allucinazione) era il popolo dei “sombrerati”. Era scoppiata, infatti, l’epidemia del sombrero. Andavano a ruba quando arrivavano le comitive di turisti e dei domenicali in gita, ma anche i Rivani ne subirono il contagio. Giravano con in testa un balcone circolare che sembrava un ombrellone. Un arcobaleno a cerchi sgargianti. Mai si era visto niente di simile. La colpa di tutto, anzi il merito, è di un intraprendente personaggio come Giovanni Fava, che già aveva conquistato Riva con il blitz dei limoni. Era il sacrestano di Limone e, negli anni del Dopoguerra, partiva dopo la Messa. Veniva a Riva, al mattino, con cestini di limoni (i limù) e arance (i portugà). Sino allora li vendevano soprattutto nella zona di Limone. Venivano confezionati a mazzi, con rametti di alloro (violòr), ed erano esposti sulla Gardesana con un carretto da bicicletta, su cui era collocato un trespolo ed offerti in vendita su una stanghetta di legno ricavata da un manico di scopa.
Alla fine degli anni ’40 Giovanni aprì un negozietto di frutta in un locale messo a disposizione da Dardo (albergo Garda) in viale San Francesco, di fronte ai Giardini Verdi. La sera l’albergo Garda aveva anche la sala da ballo. L’esondazione dell’Albola, nell’inverno ’51, ne allagò le cantine ed il piano terra. Giovanni si trasferì per un paio d’anni da Tecchio, accanto al bar Commercio, e poi in piazza Catena, nella rimessa del Bernardinelli, tra la concessionaria Piaggio del Turazza ed il bar Nazionale (da Gina) di fronte al distributore Esso di Scalmana.
Giovanni Fava aveva affittato una porzione di fondaco in piazza San Rocco, dove depositava le merci ingombranti, come i cappelli di paglia, le borse, i cestini, e dove, di notte, metteva il suo carretto anche il Giorgio Toniatti. Il Giorgio metteva il carretto all’angolo del porto, di fronte all’hotel Europa. Era il papà della Ivana Toniatti, che poi ha continuato l’attività del padre assieme al marito Emilio Bonora (fratello del “Fiaca”). In seguito si insediò, di fronte al Turazza, anche il Primo Zecchini con un chiosco di souvenir. I cappelli messicani, introdotti dal Fava a Riva, spopolavano e tutti, presso i “bacuchèi” e nei negozi, li vendevano alla grande. I cappelli di truciolo alla messicana li portavano su da Ischia o da Procida, assieme ai cestini per il pane di rafia. Dalla Toscana portavano i cappelli di maglina e da Fiesole le borse di paglia, da Napoli le collane di corallo, i cammei, dalla Liguria la filigrana d’argento. Ma non è finita. Da Murano arrivavano i vetri soffiati e dall’Umbria le ceramiche.
Tornando ai limoni si ricorda che Giovanni, con il fratello “Berna” e amici, girava la Gardesana con i mazzi di arance e limoni. Quando non bastava la produzione locale (a Limone c’erano parecchie limonaie), andavano a rifornirsi a Gargnano, Toscolano, Roè Volciano. Poi ebbero parecchi imitatori, tra i quali la Brandiglioni, sotto la torre, e il Foletti al Pont dei Strachi. Il Giovanni verso la fine degli anni Cinquanta si trasferì a Varone e mise su l’hotel Gioiosa con sala da ballo. Infine aprì il negozio alla Cascata del Varone, dove adesso c’è una gelateria.
Tra sombreri e limoni… e poi dite che Riva in quei decenni non è stata una città fantastica? È stata davvero la Dolce Riva.
(Un grazie a Efrem. Nella foto: 1952, piazza Catena Giacomo Fava con il figlio Giovanni al tavolino del bar da Gina)
Vittorio Colombo