Mio zio faceva il contadino ed aveva messo su un allevamento di conigli niente male. Era un buon investimento. Li caricava sulla 1.100 familiare nelle cassette di verdura e riforniva privati e botteghe. A Riva e dintorni. Non per fare il partigiano, ma i suoi conigli erano i più famosi della Busa. Ad un angolo della casa aveva costruito un recinto per non far loro mancare ogni comodità. Era una sorta di gabbione enorme. Ai lati e, sopra, a chiudere il cielo una rete metallica. Maglie grosse che neanche i dentoni dei conigli potevano scalfire. Alla base, per tutto il perimetro, un muretto di cemento che sosteneva la rete.
All’inizio tutto era sotto controllo. Tanti conigli c’erano e tanti si facevano il viaggio del destino sulla 1100. Ed era bello vederli, ai finestrini, così interessati al paesaggio.
Il mercato tirava alla grande ma l’emergenza era la sfera sessuale dei conigli. Incontenibili. Esagerati. Sempre lì a darci dentro. Come conigli. In breve la popolazione del gabbione subì un boom demografico. Non c’era verso di far prevenzione. Getti d’acqua gelata si rivelarono controproducenti. Ai conigli piaceva far l’amore sotto la doccia.
Io, sempre in castigo per via della mia brutta fama, ogni sera dovevo contarli. Ma non stavano mai fermi, quei maledetti. Nonostante li chiamassi per nome. Erano cento? Macché, di sicuro andavano verso i mille, come i garibaldini. I maschi più infoiati si davano dentate e zampate per le conigliette, che, a dirla tutta, quelle di Play Boy erano di tutt’altra parrocchia. Correvano come matti, sbattevano, saltavano e il rumore era quello di una mandria inferocita. E soprattutto scavavano. Non avete idea di quanto scavano i conigli. Buche, cunicoli, tunnel. Il pavimento del recinto sembrava bombardato.
I conigli più furbi si nascondevano per evitare il giro in macchina. Quando ci si è accorti che c’era un buon numero di conigli giganteschi era troppo tardi. Che fare? Erano diventati troppo duri e non più commestibili. Farli fuori era immorale, così si costituì l’esercito permanente dei conigli giganti. Dei veri duri in tutti i sensi, quei mentecatti.
Qualcosa doveva pur succedere. E successe.
Una sera un ragazzino bussò alla porta. “La campagna è piena di conigli” disse. Tutti di corsa in cortile. C’era la luna e la campagna era uno spettacolo. Tra vigne e granturco c’era il Raduno Nazionale dei Conigli. Una selva di orecchie, un circo di salti, balzi, capriole, coreografie. Maledetti loro! Mani nei capelli e tutti a guardare me. Bollato per la vita, per via di un “cretina” dato alla maestra, come “il piccolo delinquente”.
Ma, stavolta, non ero io il responsabile. È bastata un’occhiata al recinto. Avevano, quei disgraziati, scavato un tunnel sotto il muretto e tutti mille, senza distinzione di sesso e di età, se n’erano usciti sciamando felici e saltellanti per la campagna. Bel casino. Bisognava catturarli, ma serviva aiuto. Allertati arrivarono in un lampo dei paesani che, in piazza, stavano preparando i pali della cuccagna per celebrare il Patrono. Mancavano infatti pochi giorni al 26 agosto, festa di S. Alessandro.
Tappato il tunnel con dei massi i conigli fuggiaschi venivano rincorsi dai volontari, catturati nonostante scalciassero di brutto e così, “brancati” per le orecchie, trasportati penzoloni. Dopo un bel po’, quando le ore si erano fatte piccole, il gabbione era di nuovo pieno. La rivolta domata, meritava bene un brindisi. Tutti dunque in cantina, tra le grandi botti che buttavano fiumi di vino e il valzer delle mortadelle.
Io? Incazzato come una biscia. Va beh che uno è un piccolo delinquente. ma se cade la bomba atomica è colpa mia? Sdraiato sul letto sentivo, nell’aria bollente della notte, il frastuono delle corse pazze dei maledetti conigli in gabbia. E le stelle, beate loro, stavano a guardare.
Vittorio Colombo