DOMENICHE DI BALLI E AMORI: LA SPIAGGIA DEGLI OLIVI ERA IL NOSTRO “PIPER”
Con la fine degli anni Sessanta andavano a spegnersi gli anni felici del beat. C’erano ancora i figli dei fiori, e noi mettevamo dei fiori nei nostri cannoni. Qualcuno li fumava e vedeva psichedelico. Il tempio del beat rivano era la Spiaggia degli Olivi. Minigonne e stivaletti bianchi per le sbarbine, zampa di elefante e brufoli per i maschietti. La rotonda della sala della Spiaggia era il nostro Piper. E il locale romano della Patty Pravo ci faceva un baffo. Beh, d’estate c’erano le tedesche. E non c’era gara. Poi l’Equipe 84 squittiva “29 settembre”. Ed era la riscossa delle nostre ragazze in fiore.
Domenica pomeriggio, “Nem en Spiagia”. Corridoio d’ingresso, calca di fumatori. E di chi dribblava la “consumazione”.
Poi la balera, ventre di un’astronave tonda. Luci di faretti agonizzanti nella nebbia da Muratti. Pista da ballo in pausa. E, al di là dalla stessa, la strepitosa parata. Ah se ci fosse stato un Degas, ma in fondo anche l’Aldo Speziali con la sua Leica si difendeva. Sequenza di tavolini in semicerchio. Dietro tende gigantesche a coprire i finestroni. L’intimità è penombra. La prima apparizione era per le gambe accavallate. Ad ogni tavolino c’erano queste benedette gambe. Una sopra l’altra. E non c’erano santi. Ci saranno state mille gambe accavallate. Avevano vita propria, che diamine.
Compagnia delle ragazze ye-ye. Tirate a spolvero, schierate per nazionalità: Riom Degasperi, Marocco, quinta Ginnasio, straniere da Arco e da Mori.
Ragazzi di due categorie. I vissuti che, reduci dalle tedesche, spopolavano. E gli imbranati dalla mano che sudava a litri. La bella sputava la cicca e diceva “Che schifo”. Loro, maestri del ballo dei pestoni, la sera piangevano con la Domenica sportiva.
In un palchetto spesso ci davano dentro i Misantropi. Renzo Pietravalli, Gianni Caracristi, Marco Perini, poi “rinforzatati” dal Beppe Torboli. Spopolava la musica nera, il rhythm and blues di Otis Redding e del Rocky Roberts di “Stasera mi butto”. Ormai in soffitta il twist spaccaginocchia, era di moda strascicare i piedi come mentecatti. In pista lo zappatore e quello che cullava il neonato. A pensarci roba da psichiatrico. Ma allora che forza!
Partiva a razzo, con le prime note, la carica dei maschietti. Ressa davanti ai due o tre tavolini delle bellone. Coppie fatte in un amen. Per gli altri ripiego dalle carine. Quindi deviazione dalle passabili. Sbatter di ciglia e via. Gli scartati, cerino in mano, o battevano in ritirata o ripiegavano nelle retrovie. Diciamo dalle parti delle meno appariscenti. Ed era, ahinoi, il ballo di due infelicità. Ma lo stesso succedeva ai festini nelle case private.
In quegli anni si ballava con le versioni degli hit dei Procol Harum. Da brividi “Senza Luce” dei Dik Dik e “L’ora dell’Amore” dei Camaleonti. Luci spente. Lenti assassini introdotti da ruffiani giri d’organo hammond.
Fioccavano poi le leggende. Come quella che i pesanti tendaggi nascondessero amplessi furtivi.
I Misantropi facevano scintille, il Franchino Chemolli “cerimoniava”, il Guido Benini splendeva da ispirato sosia di Mal dei Primitives, quello di “Yeah, i tuoi occhi sono fari abbaglianti”.
Mitiche domeniche. Sono sbocciati amori e perfino qualche matrimonio. C’è stato chi poi ha perso i capelli, chi fatto soldi e chi debiti, chi si è fatto prete, chi è finito ragioniere in banca, chi c’è andato con la pistola, chi è finito in Comune e chi in una comune, chi ha fatto cinque figli, chi è andato in Australia e chi alla Pasina. Chi è diventato nonno brontolone. E chi, in quanto femmina, tenera nonnina. E, comunque sia andata nella vita, quella è stata “L’ora dell’amore”. Che non ha mai smesso di far battere il cuore.
Vittorio Colombo