“Don Bosco” all’Oratorio di Riva, il nostro “Cinema Paradiso”
Anche noi abbiamo avuto il nostro “Cinema Paradiso”. Si chiamava “Don Bosco” ma per il mondo intero era il cine Oratorio. Ma bisognava meritarselo. Pomeriggio di una domenica qualunque. Ore 15. “Dottrina” all’Inviolata, con prediche di don Vito e di pretini vari allo sbaraglio.
Poi, liberi tutti. Una masnada di ragazzi e cento metri da Olimpiade. Eccitati e scatenati. Era spietata la gara per i primi posti della fila. Chi dal cancello di viale dei Tigli andava a schiantarsi nella porta del cine-teatro. Attesa, saltelli d’inverno per il freddo, zuffe. E i cartelloni, ai lati, con pirati e cow boy, erano la promessa. Il biglietto? Cinquanta lire. Ma, per i “dottrinati” c’era la tessera. Addirittura di bachelite. Così il Rizzi, sorriso un po’ mesto e postura arcuata, “graffettava” con una pinza. Il foro a forma di stella nella tessera ti spalancava le porte del paradiso.
Dentro come furie. Prima fila, gambe distese. Risate e urla.
Maschietti tutti entrati? E allora vai con le suore e le bambine candide pecorelle. In anni lontani erano “le orfanelle”. Ma poi erano le famiglie a spedire le bimbe la domenica dalle suore del convento. Così per noi, nei magici Sessanta, quelle indifese creature erano ”le suorine”. Alla faccia… Salivano la scaletta per il soppalco-balconata in fondo. Momento topico, Torcicollo degli scalmanati ragazzi con le “suorine”, linguacce e gestacci da scaricatrici di Fronte del Porto.
Il buio si mangiava le voci. Ciao mondo, ciao tutto, si va nel regno dell’incanto! Il fascio di luce, da astronave aliena galleggia e danza sopra le teste Il grande schermo è la porta luminosa per l’avventura. Gli altoparlanti, che delizia!, gracchiano come cornacchie.
Ma che… porco diavolo! Rumore di pellicola di celluloide che si ingarbuglia e scoppia. Le luci si accendono. Esplosione di fischi e urla. Ultimo bagliore colto sullo schermo: lei fascinosa e lui marpione, labbra a ventosa. Terremoto per centinaia di scarpe che battono il pavimento. Sbatacchiano i sedili di legno. Ora crolla tutto, fantastico!
Gli scapaccioni degli assistenti arrivano da dietro come falchi in picchiata. Colpiscono sempre il più mite che piagnucola “mamma”. E mentre infuria la bufera tutti in piedi sulle sedie per rubare, facendo gli stupidi, risate alle bambine che se la godono Con suore da salti mortali per salvare, con i paraventi delle tonache, tanta innocenza.
Buio di colpo. Fascio di luce e si riparte. Ma, sullo schermo dei due “sbaciucchiatori” nessuna traccia. Ci sono due cavalli e ti vien da pensare, hai letto troppi fumetti, che proprio loro, i quadrupedi, si siano dati un bacio al nitrito.
Questa solfa, luci e buio e viceversa, anche tre o quattro volte. Povere pellicole, sanguinanti celluloide per troppi colpi di forbice da censura. Ad ogni Oratorio si tagliava. I film perdevano così via via, pezzi d’anima; sempre più corti e strani. Ma dai! La sala dell’Oratorio era la più strepitosa delle commedie umane.
Proiezionista era Filiberto Gottoli, già attivo al Perini e al S. Marco. Suo anche il baretto con le giuggiole. Al suo fianco, in cabina, Gigi Carloni. Il cine Oratorio è stato per molti la nave scuola, il rito di passaggio per il Perini e il Roma. Ci si faceva le ossa con Chaplin, Tarzan, Zorro. Squillava la tromba della carica dell’“arrivano i nostri” in “Ombre rosse”.
Era bello d’inverno, uscire dalla nuvola di caldo e sudore ed entrare nell’aria che sapeva di neve e buio. Tappa al chioschetto dei fratelli Martini, vicino alla fontana dell’Inviolata. Ciao spiccioli, buona fortuna! Venti lire, due rotoli di liquirizia, una bustina di castagnaccio. A piedi verso casa. La mamma ti dava il caffelatte nella tazza e tu spalmavi burro e zucchero sul pane.
Lei se ne stava lì a guardarti e tu avevi le guance rosse per il freddo e gli occhi lucidi per la gioia.
“Sei stato bravo a dottrina?”. Le rispondevi, che lenza, con le battute di Stanlio e Olio in “Fra diavolo”. Poi, a letto, le immagini del film che avevi visto ti accompagnavano dolcemente nel sonno.
Vittorio Colombo