Noi, spericolati con le slitte. Le vie cittadine trasformate in piste
“Ném a slitàr” e via. E già durante la nevicata ci si ritrovava. Guanti a manopola, berretto con pòn pòn, maglione fatto dalla mamma. Piedi bagnati, geloni alle mani, moccio al naso a ghiaccioli. Battaglie a pallate. Soffici proiettili candidi, micidiali, con dentro il sasso. E gioiosi tomboloni.
Qualche decennio fa, da dicembre a marzo, le nevicate erano frequenti e copiose. E noi ragazzi praticavamo gli sport invernali da città. Viuzze e strade in pendenza diventavano piste per lo slittino.
A Riva le piste classiche erano quelle di via Monte Englo, via Lavino, zona del Bastione, via Fiume, via Ardaro. Ad Arco Stranfòr, largo Pina, via Vergolano, via Fossa Grande, via Monte Santo, ai Gazzi. Piste dappertutto, anche a Dro, a Nago e a Torbole. A Varone, su e giù per il torrente anche in quattro sullo slittone. Pendenze da urlo in quel di Pranzo e a Tenno. Sul Brione pistone alle “roccette” con curva parabolica.
Secchiate d’acqua e lastre di ghiaccio facevano schizzare la velocità. Nei pressi dei fontanoni, come quello del Marocco, piste di pattinaggio. C’erano slitte di tutti i tipi. Ereditata dai fratelli maggiori o dagli avi, ecco la classica: linea snella e a due posti. Con sotto le lamine di acciaio da scintille e brividi sul ghiaccio. Diffuse le cassette della legna. Bene i pezzi di lamiera con corda per tenersi e per fare le curve. Se proprio, buoni anche i cartoni.
In due e seduti, quello davanti guida, quello (spesso quella) dietro allacciato stretto. Faceva figo scendere sdraiati sulla pancia. Sguardo fisso in avanti e testa collaudata alle botte, o sdraiati sul dorso con occhi al cielo. E dove vado, vado. Si andava in tre, o anche in quattro, stretti come salami. Il primo gridava “curva” e tutti si piegavano e la slitta capottava.
Anche pattinare era bello. Rincorsa e via sul lastrone, di traverso, braccia aperte per l’equilibrio. Il culo portava botta. C’era poi chi sciava usando assi di botte legati alle scarpe con lo spago.
Ma… le donne sbraitavano per il ghiaccio pericoloso, i “comunali” rovinavano con ghiaia le piste in via Lavino e Monte Englo. Temuti i raid dei vigili urbani. Nei Sessanta la guardia piccola, o guardia barilotta, era attiva anche d’estate con chi faceva il bagno nel canale della Rocca.
E allora, diciamola tutta, non abbiamo mai goduto di una buona fama noi “slittatori” di città!
La prova? Ecco una cronaca di giornale: “Il freddo ha ridotto alcune vie ripide della città coperta di neve in piste di pattinaggio sulle quali si esercitano i monelli. Le loro slitte rudimentali, gli sci aggiustati e, a volte, le sole scarpe chiodate bastano ad ingaggiare delle gare veloci con grave pericolo dei passanti specie se un po’ avanzati in età. Segnaliamo alle civiche guardie una di queste vie, quella che sale a Monte Englo. Non sarebbe male gettare un po’ di sabbia perché il pedone bistrattato possa andare tranquillo?”.
Se vi dico che è una cronaca di cento anni fa, che ve ne pare? Fotografa una situazione durata fino agli anni ’70 e poco più in là.
Quale angioletto oggi va ormai più a casa e dice: “Mama, ho sbregà le braghe” e poi “Gò i diaolini”. Sospiro. E lei: “Té sé tut mizz, vei chì che te sugo”, e giù strofinate di asciugamano. Scodella di latte bollente con miele. In bilico sulla sedia, i piedi nel buco della “fornèla” “che se no te vèi le buganze… o la dòia”. “Orpo! ‘l scota…” e pensavi al povero Pinocchio.
Da un bel po’ parte di quel mondo non esiste più. La neve benedetta cade ancora, com’è accaduto in questi giorni, ma la stirpe dei fieri “slittatori” di città, ahinoi, è ormai da album dei ricordi.
Ma valà! guarda che i reduci, capelli candidi come neve, slittano ancora. Con le pantofole, fino al divano.
Vittorio Colombo