Stefanelli family, cento anni da “paroloti” tra Riva, Torbole e Arco

Redazione20/07/20255min
Anni 70 Stefanelli Gerardo Arco via Satoni 5

È durata un secolo la storia degli “Stefanelli parolòti”. La racconta Giuseppe, classe 1961, che ha chiuso bottega nel 1991 perché avevano fatto irruzione, a vagonate, le padelle in alluminio. I vecchi “paroi”, i paioli in rame, erano finiti in cantina. E dire che un tempo in tutte le case i paioli in rame erano indispensabili per cucinare. Giuseppe, l’ultimo “Stefanelli parolòt”, racconta la storia di famiglia. Primi anni del Novecento: nonno Gerardo è apprendista presso un parolòt di Riva, poi si mette in proprio e apre bottega in piazzetta a Torbole. Torna quindi a Riva, in centro storico. Lavora, tra le due guerre, in un fondaco in via del Corvo. Negli anni Trenta i tre figli, uno dei quali portava lo stesso nome del padre, Gerardo, ma era noto come Aldo, quindi Gino ed Eugenio assistono il padre nel lavoro e imparano il mestiere. Dopo la pausa della guerra i tre figli, dopo il militare per tutti in Marina, ripresero a lavorare nel fondaco, al centro del quale c’era un mantice enorme che andava azionato a mano con indicibili sforzi.
Ne uscivano fiamme altissime ed erano poi martellate furibonde per modellare i paioli. L’intera zona, dall’alba al tramonto, era colpita da una tempesta di rumori. Si sollevarono, con decise proteste, gli abitanti della zona e gli albergatori, pressati dalle lamentele dei turisti. La famiglia Stefanelli alzò bandiera bianca. Si doveva trovare un posto alternativo. Erano i primi anni Cinquanta ed Arco fu accogliente con i tre fratelli Stefanelli, che aprirono una nuova attività in via della Cinta. Il rame si reperiva in fonderia a Vicenza, ad Arco veniva lavorato con una forgia in acciaio a manovella, quindi il manufatto veniva modellato a martellate. Si facevano paioli, dei quali c’era stata gran richiesta fino agli anni Sessanta, ma anche padelle, scaldaletti, piatti artistici e altro. Passato il ponte sulla Sarca, non potevi non ammirare, a bordo strada, il laboratorio con l’esposizione di vasi, piatti e oggetti in rame. I tre fratelli si erano dati compiti diversi. Gino girava in motorino per la Busa facendo riparazioni in rame di paioli, padelle, ma anche di macchine del verderame e di attrezzi agricoli. Gerardo (Aldo) era fisso in officina, mentre Eugenio faceva anche i mercati. Scomparso Gino negli anni Settanta, i due fratelli rimasti si separarono. Eugenio proseguì in via della Cinta con il figlio Giuseppe fino al 1982, quindi Giuseppe si spostò in via Caproni Maini a Prabi, dove operò fino alla chiusura definitiva avvenuta nel 1991. Gerardo (Aldo) aprì bottega in via Santoni, dopo il ponte, per poi fare ritorno nel 1982 in via del Corvo a Riva per avviare l’attività di un negozio di articoli vari tenuto dalla figlia Marina. Un passo successivo lo portò a spostarsi in via Fiume dove, sempre con la figlia, avviò fino all’inizio degli anni Novanta una nuova attività commerciale nei locali che, in precedenza, erano stati occupati dal mercante di mobili d’arte Facincani.
Il nostro Giuseppe, nato come detto nel 1961, era entrato a bottega dal padre Eugenio in via della Cinta fin da bambino. Vi aveva lavorato per alcuni decenni fino alla chiusura avvenuta nel 1991. Nell’ultimo decennio si operava per produrre caminetti, quindi, in campo artistico, oggetti di rappresentanza. Un aneddoto: a 7 anni andava alle Elementari, il prete gli chiese di fare il chierichetto. Quando si presentò con le mani di un nero indelebile, fu subito esentato.
“È stata una bella storia di famiglia – dice Giuseppe – fatta di fatica, forge, fuoco e tante martellate. Quell’epoca è finita per sempre, restano i ricordi e l’orgoglio di averne fatto parte. Per questo io sarò sempre, come lo sono stati i miei familiari, “el Parolòt Stefanelli””. Parola dell’ultimo dei “Parolòti”.
Vittorio Colombo
(Nella foto: Gerardo “Aldo” in via Santoni ad Arco)

 

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