Quella tragedia in Nepal, salvi gli alpinisti arcensi

Vittorio Colombo20/10/20243min
Nepal,arcensi



 

Nel novembre del 1995 un affiatato gruppo di esperti sci-alpinisti arcensi, che si trovava ai piedi dell’Annapurna in Nepal per una spedizione in alta quota, dovette fare i conti con una tremenda bufera di neve con valanghe che, pur provocando morti, si concluse senza conseguenze per gli Arcensi. Non riuscendo a comunicare con i propri cari si diffuse, anche attraverso i giornali, la notizia che erano dispersi. I familiari passarono così giornate di grande apprensione. L’episodio fu al centro delle cronache nazionali, ma anche locali. Non molto tempo fa quel fatto drammatico è stato rievocato da uno dei membri della spedizione, Claudio Verza, e il giornalista Nello Morandi ha raccolto la sua testimonianza pubblicandola sul periodico “la Busa” di Fabio Galas. Eccola.
“Io in montagna sono sempre andato – ha detto Verza a Nello Morandi – Mi è sempre piaciuto, però ero rimasto qui attorno. Nei primi anni ‘90 si creò, sotto la guida di Danny Zampiccoli e Giuseppe Bagattoli, un bel gruppo di sci-alpinisti e si fecero delle bellissime uscite (una per tutte la discesa della Valle Blanche al monte Bianco). Dall’entusiasmo creatosi nel gruppo nacque l’idea di fare un qualcosa di speciale e le nostre guide lanciarono una proposta: un treck in Nepal al Santuario dell’Annapurna. È stato nel ‘95 che con Danny Zampiccoli, Giuseppe Bagattoli, Giancarlo Emanuelli, Ivo Miorelli, Fabio Calzà, Valter Angelini, Remo Cazzolli, organizzammo un trekking che si doveva sviluppare ai piedi dell’Annapurna partendo dal campo base. Solo che siamo letteralmente stati investiti da una tremenda bufera di neve che ha causato, fortunatamente non tra noi, qualche morto e addirittura cinquanta ai piedi dell’Everest per valanghe.
Siccome non riuscivamo a contattare nessuno, i giornali italiani, li ho ancora, hanno fatto dei titoli tragici (“Spedizione trentina spazzata via dalle valanghe”), articoli che noi, ovviamente, non avevamo letto e che hanno gettato nello sconforto mogli e parenti di tutti noi. Il Ministero degli Esteri Italiano aveva messo in moto la macchina dei soccorsi. Quando siamo riusciti a tornare ad un villaggio, alcuni giorni dopo, pur tra mille difficoltà, perché i fiumiciattoli erano diventati vorticosi torrenti in piena, mentre stavamo sorbendo un tè, ho detto agli altri, quasi me lo fossi sentito, che sentivo il bisogno di chiamare casa. Non è stato facile trovare un telefono e poi prendere la linea, comunque ci sono riuscito e finalmente ho sentito la voce di mia moglie – in Italia erano le 5.30 – che quasi non credeva a quello che sentiva. Ripresasi, ha poi telefonato ai parenti degli altri rassicurandoli sulle nostre condizioni. Quindi possiamo dire che è stata una avventura a lieto fine…”.
Vittorio Colombo

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