2340 pellicole di Giovanni Skulina salvate dal figlio Roberto

Vittorio Colombo21/07/20244min
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Quattro bimbetti al lago, a Riva. Primi anni 50. Chissà cosa pensano? Le bimbe ai lati hanno espressioni felici, un fiocco nei capelli per quella di sinistra che, beata, si gratta un piede, e un fazzoletto in testa per quella di destra, che ha perso un dente davanti. I maschietti sono più compresi. L’uno ci guarda un po’ diffidente, l’altro sembra dire: “Chi tocca il mio annaffiatoio giocattolo è morto”. Un secchiello vagante, altri giochi. Maschietti e femminucce hanno costumi vezzosi, con tanto di spalline. Il bianco e nero della foto non tragga in inganno: è da sole pieno. Quello di stagioni lontane. Le assi del piccolo pontile che scottano. Il mondo è il lago con l’Òra che corre verso la riva con le onde danzanti del tardo mattino. Chi sono quei bimbi? Qual è stata, da allora, la loro vita? Sono stati felici, hanno avuto figli, sono rimasti amici? Sono ancora tra noi o un’onda cattiva ha travolto qualcuno di loro? Ed ecco che ti assale il flusso dei ricordi. Del tuo mondo antico fatto di incantesimi infantili. Non ti sembra di sentire quel sole che ti accarezzava e la sinfonia, a ondate chiassose, delle onde che si rincorrevano fino ad esplodere sulla spiaggia? Frammenti di memoria che sono sempre stati con te.
Se sei di Riva, tutto questo hai provato. Te lo dice la foto “antica” dei quattro bimbetti, magia di Giovanni Skulina, fotografo in Torbole, a cavallo tra gli anni ‘50 e i ‘60.
Potevano andare perse le suggestioni di questi bimbi, come le mille storie raccontate dalle splendide foto di Giovanni, salvate dalla passione del figlio Roberto. Skulina padre è stato testimone con le sue foto di un’epoca, quella del passaggio dalla civiltà contadina e dei pescatori a quella del turismo diventato ben presto di massa. Roberto, passati ormai decenni dalla scomparsa del padre, ha tolto la polvere da cassettoni e bauli, dove stavano aggrovigliati migliaia di negativi che sembravano destinati a finire nelle immondizie. “Emozione e stupore – dice Roberto – Questi i miei sentimenti iniziali. Allora non ci sono solo innumerevoli scatti fatti a turisti (…), testimonianza del lavoro di papà, guida turistica e fotografo. Mi sono venute alla mente le cose che mi raccontava quando ero piccolo, mai abbastanza ascoltate, ed ho iniziato a cercare ed esplorare il contenuto dei fotogrammi. Ho comprato uno scanner digitale e ho iniziato la scansione dei fotogrammi. Seguendo la numerazione sulla pellicola ho realizzato un elenco cronologico, un elenco di 2340 pellicole risalenti a un periodo tra il 1945 e il 1955 circa. Quelle pellicole mi hanno portato indietro nel tempo facendomi scoprire luoghi che conosco e ora trasformati dall’antropizzazione della nostra Busa, persone note alla mia infanzia che non ci sono più, ritratti di famiglia, oltre a tanti scatti che ci regalano una rappresentazione fotografica di uno spicchio di storia locale. Il turismo ha cancellato riti ancestrali, mestieri allora diffusissimi come quelli del pescatore, riti religiosi e processioni che richiamavano folle intere”. Ma ecco le ragazze impegnate a lavorare nei campi, la colonia Pavese, le immagini dei soldati nel Dopoguerra, i giochi dei bambini. La “restituzione”: si chiama “Frammenti d’istanti” la mostra che il MAG, Museo Alto Garda, dedica al fotografo (aperta al pubblico fino al 3 novembre). Così i quattro bimbetti, primi anni ‘50, possono continuare a gioire nel loro istante magico, cullati dalle onde del Garda, grazie agli scatti di Giovanni, fotografo in Torbole, che ci dona un impagabile “come eravamo” alla riscoperta sentimentale delle nostre radici.
Vittorio Colombo

 



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