Dalle nuvole il professore cadde nel cespuglio di spine

Vittorio Colombo17/12/20235min
liceo.riva OK prof

Fuori dai finestroni il buio era un mantello nero. Il Professore alzò gli occhi dal libro e, saltellando, declamò gli esilaranti versi della “Batracomiomachia”, la guerra tra i topi e le rane. Lui si sentiva una rana perché riteneva i topi avanzi di fogna, un po’ come i suoi alunni, quei cari squinternati, e rise di gusto, sempre in greco antico, al simpatico pensiero. Ohibò! non aveva idea di che ora fosse. Ma i finestroni erano occhiaie nero seppia. Lui, il Professore, si trovava nell’aula dei docenti e il palazzone nelle tenebre era il glorioso liceo “Andrea Maffei” di Riva. “Quid noctis? A che punto è la notte?” si chiese gracidando. Forse era il caso di tornarsene a casa. Accese la luce che illuminò il corridoio. Non c’era né anima viva né morta. Scese a grandi passi le scale e arrivò nell’atrio del primo piano. Manovrò con la maniglia del portone d’ingresso. Niente, chiuso a chiave. Se n’erano andati tutti, bidelli compresi, e lui era rimasto chiuso nel Liceo… in piena notte. Orbene, il professore di cui si parla è e resta un mito per generazioni di studenti. Un pozzo di scienza, il Gigi Sensasono, che si illuse di insegnare greco e latino alla disperata ciurmaglia dei liceali del Maffei, un po’ anni Cinquanta, tutti gli anni Sessanta. Aveva il carisma del professore dei Campus universitari. Poi era un modello, perfino un amico. Viveva però nel suo mondo parallelo da classico “Professore tra le Nuvole”.
Ma torniamo a quel portone sbarrato. Il dilemma: aspettare l’alba o escogitare un’eroica via di fuga? Pensò a Silvio Pellico e alle sue Prigioni e alla fuga dai Piombi veneziani di Giacomo Casanova, al quale si sentiva affine per innocui vagheggiamenti erotici. “Alea iacta est, il dado è in brodo”. Che ci vuole? Era al primo piano e i finestroni erano a un metro e mezzo di bassezza dal prato. Calarsi sarebbe stato un gioco da ragazzi: “A cavallo della finestra, mi tengo con le mani, mi lascio scivolare in basso e atterro sul soffice prato”. Così fece. Ma cadeva e cadeva e… cadeva. “Ohibò! dov’è l’erbetta?” fece in tempo a pensare. E un istante dopo… un urlo disumano svegliò la città. Il Professore era caduto in una “bocca di lupo” ed era atterrato di schianto su un intricato cespuglio di rovi e di spine cresciuto sul fondo dell’apertura. Una notte di tragedia e di dolore. Il giorno successivo si presentò regolarmente in ritardo per la prima ora di greco. Sembrava la mummia di Tutankhamon tanto era pieno di cerotti. Il viso era una farmacia applicata, ma anche le mani erano bendate e si trascinava con pietosi lamenti. “Professore – disse uno – leggiamo il buio oltre la siepe?”.
Che dite? Tutto qui? No di certo. Allora, vogliamo parlare di quando finì nel lago, alla Fraglia, disquisendo di Giasone e degli Argonauti e leggendo, in contemporanea, il giornale, ovviamente rovesciato? Venne ripescato dai volontari della Fraglia, ringraziò in sanscrito e se ne andò sbattendo contro un palo della luce, che da allora, per via dell’acqua e della botta, non si accese più.
Va beh, tante sono le avventure del Nostro e tante ne racconteremo. Ma una cosa sia chiara. Un Professore così amato è di diritto nelle leggende degli Eroi rivani. E se per caso l’amato Professore, dato per disperso in quel di Roma, si troverà a leggere queste strazianti righe sappia che lo teniamo nel cuore. Con un grazie per averci insegnato ad amare perfino la “Batracomiomachia”, noi sempre fieramente dalla parte dei topi di fogna.
Vittorio Colombo



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