Riva e il terribile fantasma della “Vecia Lepre”
C’è un fantasma che nelle notti segnate da lampi, tuoni e scrosci di pioggia si aggira per la vecchia Riva. Senza pace emette grida dolorose che sono folate di vento e gelo. È il fantasma della “Vecia Lepre” e, se pur ne avete l’animo, potreste imbattervi, in quelle notti di tregenda, nelle manifestazioni orripilanti della povera anima.
Qual è la storia del fantasma? Orbene, dovete sapere che, nel periodo tra le due Guerre, e quindi parliamo degli anni Trenta, a Riva c’era un albergo dal nome che evocava pasti pantagruelici di selvaggina. Si chiamava “Alla Lepre” ed era in un grande fabbricato che confinava a sud con l’albergo “Europa” e a nord con la taverna “Al Gallo”, dunque tra piazza Catena e piazza San Rocco. Va detto subito che oggi quella porzione abitativa è totalmente cambiata, ci sono appartamenti per turisti o di proprietà di residenti altrove, o altre cose, ma allora, negli anni Trenta e fino a dopo il Sessanta del secolo scorso, il casone fu un vivace microcosmo di storie.
Il ristorante “Alla Lepre”, dopo anni felici, conobbe un periodo di crisi. E dovette chiudere i battenti. La proprietaria, che tutti chiamavano la “Lepre” per un bel paio di dentoni che segnavano un viso affilato, aveva un figlio noto come “il Lòpa”, grosso come una cisterna. Il Lòpa per un po’ fece il cameriere e poi si votò alla bottiglia che, se usata senza parsimonia, porta all’incosciente beatitudine. Nei suoi anni estremi si ridusse a chiedere l’elemosina, con un barattolo, al convento delle Grazie, dove i frati gli allungavano, di tanto in tanto, un piatto di minestrone. La madre, la vecchia titolare del ristorante fallito, se ne andò fuori di testa. E, uscitane, nella testa non ci ritornò più dentro. Oppressa dai debiti e dalla trista sorte del figlio, ormai pazza, tirò le cuoia. Per alcuni anni l’albergo rimase abbandonato, gli stanzoni enormi e polverosi, le finestre occhi aperti nel vortice dell’oscurità. Vi si avventuravano i ragazzi del rione San Rocco per sfidare le dicerie che erano proliferate. C’era infatti chi aveva fatto girare la voce del fantasma. Quello della “Vecia Lepre” divenne così un pauroso mito, una presenza sulla veridicità della quale taluni giuravano. Con l’aggravante che nella zona si stappavano bottiglie a vagonate. Che successe poi? La proprietà passò ad una banca e venne poi comprata da un tale di Gargnano che la mise in locazione. Ben sei famiglie andarono ad occupare i saloni dell’ex albergo. Qualche bel decennio dopo avvenne la trasformazione in un complesso di appartamenti. Ma, secondo qualche antico visionario testimone, per la “Vecia Lepre” non c’era pace neppure da morta. Dicono che certe notti, quando gli elementi si scatenano e salgono dal lago, tra fulmini, saette e alghe striscianti, la “Vecia Lepre” compare cercando il suo vecchio albergo. Che non c’è più, diventato allo stesso modo una casa fantasma. Così, quando le azalee di un giardino appassiscono come per una improvvisa gelata, è perché il fantasma della “Vecia Lepre” vi ha alitato sopra. C’è un esorcismo o una preghiera in grado di far trapassare nell’Aldilà la tormentata “Vecia Lepre”? quell’anima infelice dai lunghi denti nei quali si insinua ed esce fischiando lugubremente il vento della Riva più antica e misteriosa?
Vittorio Colombo