Turazza fuggì in Italia con il sandolino recuperato sul fondo
Era l’anno 1915. Nella riviera austriaca del Garda, da Torbole a Riva, le autorità militari e di Polizia avevano requisito tutte le imbarcazioni private per impedire eventuali fughe e per non lasciare mezzi di comunicazione con le popolazioni rivierasche del Regno, cercando in tal modo di evitare pure la possibilità di spionaggio. Inoltre si vigilava con ogni mezzo per evitare che giovani e persone non prestassero servizio militare per l’Austria superando di nascosto il confine per raggiungere l’Italia. In questa delicata e drammatica fase la famiglia Turazza, che esercitava una impresa di trasporti con canotti, automobili e barche tra Torbole e Riva, si vide tutti i natanti sequestrati. Non tutti, però. Un sandolino venne affondato vicino alla spiaggia e coperto con sassi, in previsione di eventuali necessità, che quindi sfuggì alle ricerche dei vigili gendarmi. In occasione dell’anticipata rassegna del 1895, fatta in Austria nella prima decade di ottobre, Francesco Turazza, figlio dell’impresario, era stato dichiarato idoneo alle armi.
Egli frequentava allora l’ultimo corso dell’Istituto Tecnico di Rovereto. Non era il caso di pensare alla fuga, perché l’assenza dalla scuola sarebbe stata notata. Tuttavia alla fuga egli pensava di continuo senza poterla concretizzare. Venne così il giorno di presentarsi al reggimento.
Prima di vestire la divisa il Turazza si recò a Torbole a salutare i suoi cari. Era dicembre. Nel festeggiare il partente la famiglia indisse quella sera una cena fra amici e conoscenti. Come succede nei paesi piccoli per le famiglie benestanti ed in vista i rapporti con la gendarmeria locale erano abbastanza frequenti, quindi la conoscenza con i comandanti tale da consigliare l’invito alla festicciola anche di questi. Cosa che fu fatta. Il banchetto ebbe inizio verso le 20 e fra l’allegria generale, fra brindisi ed auguri al partente si protrasse oltre la mezzanotte. Verso quell’ora il festeggiato con una scusa banale si allontanò dalla sala. Pochi vi fecero caso.
Corse sulla spiaggia e, cacciatosi in acqua, febbrilmente liberò dai sassi il sandolino, lo vuotò, vi salì e remando vigorosamente, anzi, in certi momenti disperatamente per paura di essere sorpreso, dopo 4 ore di fatica approdò a Malcesine, stanco ed intirizzito dal freddo. Durante la via più volte corse il pericolo di essere sorpreso dai riflettori dell’I.R., polizia austriaca. Nella casa paterna, intanto, l’assenza del fuggiasco fu notata. Tutti iniziarono affannose ricerche, temendo che qualche malore improvviso lo avesse colto o che qualche disgrazia gli fosse accaduta.
Quando, dopo alcune ore, le indagini riuscirono vane, i gendarmi cominciarono a sospettare la verità, ma inutile fu per buona sorte ogni tentativo di inseguimento ordinato, sia sui monti che sul lago.
(Dal libro di Mario Ceola “Diserzioni” del 1928).
Vittorio Colombo