Carnevale, quando eravamo tutti piccoli Zorro e Dame

Vittorio Colombo12/02/20235min
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Ebbene sì, siamo stati tutti Zorro.
Un tempo, decenni fa, a Carnevale l’universo mascherato si divideva in Zorro e Damine. Tanto che, nelle feste all’Asilo o alle Elementari, le maestre dicevano: “Gli Zorro da una parte, le Damine a mettere ordine e a pulire”. Mondo maschilista, anche se va detto che Cenerentola, prima di diventare principessa, lavava i pavimenti, e dunque…
Per le Damine la cosa era semplice. Indossavano il costumino bianco, con tanto di alette, del Corpus Domini, in testa il cerchietto con le candeline di Natale, sulle spalle il tappetino con i buchi del cane. Brandivano un mestolo con stelline, che usavano per trasformare i rospi in rospi. Noi maschietti eravamo l’ala creativa. C’erano Zorro e poi ancora Zorro e i suoi fratelli. Io ero Zorro “Messo nel Sacco” non dal ciccio tenente Garcia, ma perché, che genio!, facevo un buco nel sacco delle patate per la testa e altri buchi per braccia e gambe. E mi “insaccavo”. In testa “el capèl da l’ùa”, il cappello da l’uva sfondato dagli avi nelle vendemmie. Con un pezzo di carbone, strofinato sulla faccia, si facevano baffi e occhi neri. E via con il bastone-spada a fare “zete” sui culi mascherati da “culo di Zorro” dei compagni. Ma il sacco delle patate era una geniale variante nei travestimenti. Si andava in maschera, nelle vie del paese, conciati come spaventapasseri, con giacche vecchie rovesciate, cappotti mangiati dalle tarme, mantelli e, ai piedi, scarponi che “avevano fame” con il davanti aperto come una bocca spalancata. A dire il vero c’era anche chi trasgrediva dalla “Zorreide”. A chi chiedeva cosa diavolo interpretasse il Mario, che era tutto una tovaglia a scacchetti rossi con il buco per la testa, rispondeva: “Arlecchino!”. Vinse, quell’anno, il primo premio all’Asilo e le maestre lo apparecchiarono. Anche tra le Damine c’erano delle traditrici: fece scalpore la Fata Turchina, colorata di fucsia perché aveva la mamma daltonica.
Al Carnevale arrivavamo stremati. Ore ed ore a fare a pezzettini i giornali a colpi di forbice per produrre i coriandoli. Ed è allora che ho capito che i giornali, se sminuzzati e lanciati in aria, fanno allegria.
Poi arrivava il giorno più atteso. Si andava, noi dai paesi, a piedi fino in piazza Cavour a Riva, dove avveniva il raduno. Nel vedere tanta varietà di maschere restavamo a bocca aperta, nella quale entravano, a palate, i coriandoli con qualche mosca e calabrone. C’erano pirati, indiani, principi azzurri in calzamaglia con “gambe de sèlem” e altre meraviglie. All’Oratorio si andava in fila, poi in un teatro che scoppiava di strepiti, colori, coriandoli, trombette, festoni, sberloni degli assistenti, si svolgevano sul palco le scenette, da noi chiamate “scemette”. Una giuria prezzolata dai preti faceva le classifiche. Se c’erano figli di Sindaci o di Assessori vincevano loro, anche se vestiti da rape o, peggio ancora, da politici. Poi calava sulla sala una nuvola bianca di castagnaccio ed era battaglia con l’appiccicaticcia polvere acquistata a quintali al chiosco dei Martini all’Inviolata.
Quello del Carnevale è, ed è stato, un rito esistenziale. Ha scandito vite e memorie. Anche tu ricordi, anche se molti anni sono passati, le “mascherate” vissute con grande intensità emotiva. Sono capitoli del tuo libro, scene del tuo film. Eccoti, nel mare di folla, sulle spalle di papà al Gran Carnevale di Arco, con negli occhi la meraviglia per i carri. Ma ci sarà anche il carro del “Masna-vèce”, del “Macina- vecchie”, del quale hai tanto sentito parlare? Fece epoca e diventò leggenda: era un marchingegno enorme a due porte. Da una parte entrava una vecchia decrepita, si sentiva un gran rumore di ingranaggi e dal davanti appariva una ragazza macinata, ma bellissima. Nuda, o almeno così si fantasticava.
Poi la sera, dopo la giornata all’Oratorio o al Carnevale di Arco, con ancora addosso il tuo vestito da Zorro, ti cadevano gli occhi nel piatto. Ed è allora che, momento atteso col batticuore, la mamma ti strizzava il naso… e ti sussurrava: “Ti conosco mascherina!”.
Vittorio Colombo

 



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