I maledetti scatoloni e l’albero di Natale da smontare
Ho sognato che i re Magi e la Befana sbaraccassero presepe ed albero. L’Epifania tutte le feste le porta via e, sulla scia della scopa volante che scompare nel tramonto, è ora di spegnere le luci e di tornare alla routine quotidiana. E, dunque, per dirla con quell’allegrone del Leopardi: “Al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno”.
Quando è l’ora temuta, la famiglia si dilegua. Tu “resti col cerino in mano”. Hai recuperato dalla cantina gli scatoloni d’ordinanza, vecchi, logori e collaudati. Stacchi rassegnato le palle colorate dall’albero plasticato tenuto assieme col fil di ferro. Solo il gatto dà una zampa e fa del suo meglio per far schiantare l’albero a terra. Affronti l’intrico delle catene luminose, fili aggrovigliati. Formano il cosiddetto “gióm” inestricabile che il prossimo anno dovrai buttare. Sacramentando sì, ma sempre con pia deferenza.
È il tempo del “Calvario”, la “Via Crucis degli Scatoloni” con le stazioni che segnano le scale. Su dalla cantina, giù in cantina. E alla terza e settima stazione delle scale lo scatolone cade per la terza volta. Le palle colorate balzellano in discesa con rumori che, dannate palle!, sembrano di scherno.
Otto dicembre, Immacolata, ci siamo! Ci può essere, nell’aria, perfino un po’ di sciocca eccitazione. Anche il gatto lo vedi contento per l’avvento del suo Luna Park. Poi, però, nei giorni più o meno felici, guardi l’Albero, il “Totem con le Palle”, e ti pervade il senso leopardiano dell’ineluttabile fine del “Dì della Festa” e degli scatoloni che, dannati loro come creature di Stephen King, sempre ritornano.
L’albero oggi lo fanno tutti. Il presepe è ormai per pochi, ma tiene duro. È, di sicuro, più bello, ma più problematico. Anche il presepe, sia chiaro, ha i suoi begli scatoloni in cantina. Ma per molti ha una tenerezza evocativa, un languore particolare. Il presepe è il regno dei ricordi. Dei tuoi genitori, dei tuoi nonni, dei tuoi figli, di antichi Natali incantati, di occhi di bimbo sognanti. Le statuine, avvolte nella carta di giornale, hanno talvolta più di mezzo secolo. Il pastorello che dorme abbracciato alla pecora, la donna alla fontana con secchio in spalla, il taglialegna, la grotta di sassi di tufo bianco, il castello di re Erode, il mulino con le pale, la vaschetta d’acqua con i cigni, il ruscello di carta stagnola, la culla vuota nella quale poi la mamma faceva comparire, “Alleluja” nella Notte Santa, il Bambinello.
Se questo hai visto da bambino, sai che tutto è rimasto sempre con te. Perché vicino al presepe, lo ricordi bene, c’erano i tuoi cari, mamma, papà, fratelli, sorelle. Tu, di nascosto, spostavi pecore e pastori, accompagnando nel cielo di cartone azzurro il viaggio della stella cometa. Le zolle di muschio soffice del Brione sapevano di bosco. E i gatti raspavano e vi facevano i loro bisogni, poco natalizi, ma bene augurali.
Imperversava il concorso “Il Presepe più bello”. La Parrocchia inviava i giurati che, seriosi, annotavano tutto su un taccuino per la classifica. I premi: un pandoro e un rosario. A Riva il premio andava sempre al “Cianci” Amistadi, il papà della pallacanestro rivana, che aveva casa, con presepe super, dalle parti della Pasina.
Non c’è niente al mondo che dà il senso del tempo che scorre, degli anni che passano, del tuo cammino nella vita, da infante a maturo o anziano, come l’inesorabile rito degli “Scatoloni di Palle di Natale” e di “Scatoloni di Statuine del Presepe”. Ho perfino il sospetto che gli scatoloni siano entità dotate di vita propria e se ne stiano, beffardi, in cantina aspettando il loro diabolico momento. Passate le feste, i sogni svaniscono all’alba. Befana e Magi? Fatta la loro parte, sono spariti. Anche quest’anno hanno vinto loro, i maledetti Scatoloni!
Vittorio Colombo