Ultimo dell’anno, il Mosè della Fontana di Arco diventava Noè

Vittorio Colombo01/01/20235min
2021 06 044_ArcoPiazza-1905Circa

Mezzanotte dell’ultimo dell’anno. Riti familiari e collettivi, veglioni, balli, brindisi. Poi ciascuno ha una sua storia. Si racconta in famiglia o ci viene raccontata da chi ha raccolto vicende che vengono da lontano. Come quelle che Gianpaolo Giovanazzi, sacerdote di origini arcensi, ha affidato a piccoli libri di ricordi. Giovanazzi ci fa compiere un gran tuffo nel passato rievocando quello che successe, quasi un secolo fa, in una Arco ricca di feste e di compagnie di burloni.
In quei tempi lontani l’ultimo giorno dell’anno vigeva la tradizione del “giro” attorno alla fontana del Mosè, luogo simbolo di Arco, con la grande statua del profeta che governa le acque del fontanone, ad un passo dall’ingresso della Collegiata. Un folto gruppo di buontemponi, ben carburati da ricche libagioni, ogni anno ripeteva un singolare rito. L’evento richiamava un gran numero di Arcensi che assistevano alla sgangherata, ma esilarante, rappresentazione. I protagonisti della messa in scena, allo scoccar della mezzanotte, accendevano delle candele che, a braccia ben tese, tenevano in mano. Quindi in fila indiana, con il moccolo ben acceso, giravano e rigiravano intorno alla fontana intonando una canzone nella quale Mosè diventava Noè e Noè diventava Mosè. Ondeggiando, con i volti arrossati dal vino e dalla luce delle candele, gridavano questo ispirato canto: “Viva Noè, gran patriarca / salvato dall’arca, sapete perché? / Perché fu l’inventore / di un simil liquore / che allegri ci fa!”. E proseguivano: “Bevevano i nostri padri / bevevan le nostre madri, / e noi che figli siamo / beviam, beviam, beviam! / Del bianco moscatel, / del nero marzemim, / se ne avessi un botticello / vorìa véderghe la fim”. Ogni anno nessuno voleva perdersi lo spettacolo. Tutti portavano bicchieri e bottiglie per brindare in una piazza che si riempiva per l’occasione di Arcensi.
Ma… successe un fatto che decretò la fine della bella ed etilica tradizione.
Era la notte dell’ultimo dell’anno del 1924. La piazza, al solito, era gremita e i protagonisti, accese le candele, avevano iniziato il pellegrinaggio attorno alla fontana. D’improvviso apparve in piazza un carretto a mano che, coperto da un lenzuolo, era spinto vigorosamente da un gruppo di personaggi, per lo più barbuti e non proprio eleganti. Attorno al misterioso carretto si fece il vuoto, tra curiosità e qualche timore. Proprio allo scoccar della mezzanotte il lenzuolo fu sollevato e buttato in aria. Da sotto balzò fuori il figlio del Tòfol Zeni. Che stava succedendo? La gente assisteva attonita. Il giovanotto, in piedi sul carretto, con gesto plateale alzò con una mano una grande bandiera rossa e iniziò a farla sventolare ben alta nell’aria, cantando a squarciagola “Bandiera rossa”, ben accompagnato dal coro dei compagni, giovani comunisti in vena di provocazioni politiche.
Altro che Noè e Mosè, candele, teroldego e marzemino. Quel nuovo anno ad Arco iniziava con le note di “Bandiera rossa alla riscossa”. Scoppiò un tafferuglio gigantesco. La piazza si trasformò in un’arena, tra spintoni e scontri fisici, insulti e urletti di terrore delle signore bene in precipitosa fuga La gente che scappava, i goliardi del Mosè impietriti con le candele in mano. Dopo qualche istante irruppero i Carabinieri di Arco, affiancati, al di là dei campanili, da quelli di Riva. Autorità e militanti fascisti occuparono la piazza che divenne “scena del crimine”. ll carretto della provocazione con il figlio del Tòfol Zeni e il bandierone rosso erano, nel frattempo, spariti in un androne. Che cosa successe poi allo sbandieratore rosso e ai suoi compagni non si sa; forse in qualche archivio si può trovare qualche traccia di eventuali punizioni.
Le conseguenze però ci furono. Eccome. Il fatto offrì alle autorità e alla milizia fascista il pretesto per decretare la fine della “pericolosa” tradizione del pellegrinaggio dei burloni con le candele che aveva deliziato Arco per molti anni. Una tradizione veniva così “arrestata”. Si spegnevano ardori e candele. I tempi si facevano bui. Anche allo statuario Mosè, in precedenza trasformato in Noè, fu negato il piacere di immergere i piedi in una fontana che, per una notte, buttava marzemino. Senza il pellegrinaggio dei burloni fu sempre e solo acqua. E, per qualcuno, lacrime.
Vittorio Colombo

 



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