Per i “ceregòti” del basket rivano trionfo a Pietramurata
“Arrivano i ceregòti del basket, si salvi che può!”. Era il 1972 e i chierichetti della pallacanestro erano i bravi ragazzi della Virtus, la società del grande Giorgio Galas, che aveva sede all’Oratorio di Riva. E il battesimo di “ceregòti”, per via del fatto che don Vito li spediva a “dottrina” nella chiesa dell’Inviolata prima delle partite, era stato appioppato loro dai perfidi “cugini” del Giesse basket Riva del “Cianci” Amistadi di stanza nel campo di viale Pilati.
Detto questo, successe che, tra un tiro a canestro e un rosario imposto, nel 1972 si doveva inaugurare il nuovo campo da basket di Pietramurata. Il Comune aveva asfaltato una campagna e messo su dei canestri. E alcuni ragazzi volonterosi erano stati catturati dal fascino del basket. L’inaugurazione era un evento. Anche perché i locali avrebbero affrontato i mitici giocatori della Virtus Oratorio di Riva. La loro fama arrivava ben oltre Ceniga. E, dunque, perché non osare?
I campioni rivani si presentarono sul terreno di gioco nella formazione che si vede in foto, scattata proprio in quella occasione: in piedi da sx Pietro Massafra, Franco Galas, Enzo Santorum, Adalberto Mosaner, Giuseppe Scuderi; accosciati Gianni Galas, Guido Degasperi, Giorgio Galas e Guido Marconi.
Il salto a due iniziale avvenne in tre, perché saltò anche l’arbitro. Quando qualcuno, ed era cosa rara, segnava un canestro, il competente pubblico presente gridava “goal” oppure “rigore”. Gli animi erano accesi. I Rivani avevano terribili nomi di battaglia. Massafra era il play “Maffy Massacra”, un gigante che sprizzava allegria, Pippo Scuderi era “Catania” e, dunque, era un campione straniero naturalizzato rivano, ma il più ammirato e temuto era Guido Degasperi, detto “Sghit”, che, in lingua, sta per “cosa veloce prodotta da gallina incontinente”. Poi ci furono proteste perché in campo giravano ben tre Galas. Erano troppi e si chiese ad uno di cambiare cognome in “Rossi”, altrimenti i locali avrebbero ritirato la squadra.
Era una giornata quieta. E, dunque, arrivavano da sud, dalla Busa e dal lago folate di vento che neanche a Trieste immaginano. Il pallone era perciò anarchico. Se scappava di mano a un giocatore, se lo prendeva la bufera e lo sbatacchiava in giro per il campo e tutti lo rincorrevano saltellando, come prendessero delle farfalle. In un clima di agonismo sfrenato il primo tempo (allora erano due) finì sul punteggio di 15 a 6 per gli ospiti. Spettatori in delirio. I locali, per rovesciare il risultato, scelsero poi di giocare duro. Mentre l’arbitro rincorreva la parrucca, finita su un albero per via del vento, marcarono a uomo i campioni rivani, tenendoli arpionati con la scusa di abbracciarli. I Rivani allora sfoderarono l’arma segreta: schizzò su dalla panchina come una molla Guido Degasperi, detto appunto “Sghit”, che aveva una caratteristica di gioco copiata dai campioni della Simmenthal, la carne della mucca in scatola. Il Guido se ne fregava del pallone, che tanto era scomparso, e caricava come un toro, a testa bassa, gli atterriti ed atterrati avversari. Fatto sta che dopo un po’ erano tutti fuori uso, ma felici per la bella partita e per il fatto che i tifosi, Sindaco in testa, avevano assistito ad un vero spettacolo come del resto meritava il nuovo campo, da vento impetuoso buono per i broccoli.
Per la cronaca la partita “amichevole” finì con il punteggio astronomico di 36 a 16 per i Rivani. Ci fu stupore per il fatto che, il giorno successivo, la “Gazzetta dello sport” ignorò l’avvenimento. Capitan Giorgio Galas, re dei ganci sinistri, riferì il tutto a don Vito che gli assegnò “tre pater, ave, gloria” e insieme, dopo due tiri liberi, “dissero su una corona”.
Vittorio Colombo