La squadra rivana “Branca-pallone” sul tetto del basket italiano
Sono passati quasi cinquant’anni da quella che, con il trascorrere delle stagioni, sembra ormai una favola. Perché il racconto dell’impresa che vide un gruppo di ragazzotti della piccola Riva conquistare, con il titolo italiano di basket, la vetta sportiva di un’Italia stupita ha ormai il sapore di una cosa inventata. Eppure tutto successe davvero. Mai prima di allora una squadra aveva vinto un titolo italiano, sia pure di categoria. E la piccola e provinciale Riva venne guardata con ammirazione e rispetto dalle città “capitali” della pallacanestro italiana.
L’anno è il 1974. I ragazzi rivani giocano tutti a basket. I più scatenati non si fanno mancare nulla: a calcio sul campo strapieno dell’Oratorio e a basket sul campo all’aperto di via Pilati, dietro al fabbricato delle Commerciali, ora abbattuto e parcheggio “Terme Romane”. Non ci sono porte da aprire, permessi da chiedere. Il campo è lì che ti aspetta. Inverno, estate, caldo, freddo. Pioggia e neve non spaventano. E sono pomeriggi che, chi li ha vissuti, tiene ben stretti nel cuore. Mezza gioventù rivana allo stato brado. Ore e ore a palleggiare, a tirare a canestro, sfide alla “campana”, tra partite dai punteggi astronomici, beghe e abbracci, sudore e gioia. “È notte, non si vede più il canestro”. “Zitto e gioca!”. Il campo di via Pilati, regno dell’anarchia, alleva scavezzacolli e salta-fossi. Ma anche piccoli campioni e leggende. In quegli anni va forte il film con Gassman “L’Armata Brancaleone”. La squadra rivana, battezzata dallo spirito caustico rivano “L’Armata Branca-pallone”, viene spedita allo sbaraglio ai Campionati nazionali di Roseto degli Abruzzi. I “rivanèi”, salvo qualcuno moderatamente “lungo”, sono per lo più di statura “economica”. Sono però diavoli scattanti. Veloci come fulmini. Perché sul campetto di viale Pilati sono rapidità, guizzo e palla ammaestrata. Numeri da funamboli. E alla fine i centimetri, tanti o pochi che siano, contano ben poco. Sono, infatti, la frenetica rapidità e la palla impazzita le virtù che valgono a stendere gli avversari, futuri “giganti” del basket nazionale. “Ma noi li abbiamo fatti piangere” diranno poi i rivani. Così domenica 14 luglio 1974, a Roseto degli Abruzzi, i ragazzi di “Cianci” Amistadi e di Sergio Pesarini battono in finale il Livorno (68 a 55) e sono campioni italiani. Prima avevano piegato Ancona, Trapani e, addirittura, l’Innocenti Milano.
Il ritorno a Riva è un trionfo. Cortei di macchine con bandiere e cartelli. In Municipio il grazie della città con il sindaco Bruno Santi che riceve squadra e allenatori. La Gazzetta dello Sport dà per certo il passaggio di Ferrari e Tonelli all’Ignis di Varese. Quintilio Tonelli, papà del “Tom” e dirigente, replica: “Non se ne parla, restano a Riva, per studiare e giocare qui a basket”.
Cinquant’anni o quasi sono ormai passati. Ed è tenera e commovente la foto scattata davanti alla torre Apponale. Sorridono a quel roseo presente e a un futuro che allora era tutto da scrivere. Sono da sinistra, in piedi, Franco “Mina Bordignon”(allenatore), Manfredo Stella, Marco Andreoli, Eugenio Mari, Antonio Bariletti, Pierluigi Floriani, Roberto Tonelli, Sergio Pesarini (allenatore), Francesco “Cianci” Amistadi (allenatore). Accosciati: Antonio Marinelli, Eugenio Perini, Lucio Scarezzati, Enzo Ferrari.
Molte cose sono successe da quel tempo sbiadito. Alcuni degli allora piccoli protagonisti, “giovani per sempre”, sono purtroppo scomparsi. Guardi la foto, tenero reperto d’epoca. Racconta la straordinaria storia di un gruppo di ragazzi rivani che, dribblando i centimetri, furono “giganti del basket”. E, con loro, Riva del Garda andò felicemente a canestro.
Vittorio Colombo