La beffa delle casse col tesoro del Duce ripescate dal Garda
Quando, a fine maggio del 1993, i sommozzatori riemersero dalle acque del Garda la folta pattuglia di persone che seguiva le operazioni dal lido di Gargnano fu percorsa da quel brivido che rende elettrizzanti gli avvenimenti storici. I sommozzatori portarono in superficie, quindi depositarono sulla riva, tra i piedi dei fortunati presenti, quattro casse. Che sarà mai? Va beh, sgangherate e in cattive condizioni finché si vuole, ma erano pur sempre le casse del Duce. O almeno così si credeva, o si sperava, che fossero proprio le casse del tesoro di Mussolini entrato nel mito e tanto a lungo cercato. O, altra ipotesi, dovevano contenere il carteggio Churchill-Mussolini, documenti che erano forse ancora più preziosi dell’oro.
Immaginatevi lo spiegamento di folla: in prima fila la prorompente nipote del Duce Alessandra Mussolini, accompagnata dall’onorevole missino Ignazio La Russa, quindi autorità di ogni genere, Carabinieri, servizi più o meno segreti e la grande macchina, locale e nazionale, dell’informazione, con tivù e inviati di chiara fama.
Questa è la volta buona. Le garanzie ci sono. Vengono da uno che la storia, quella storia, l’ha vissuta da protagonista. Si chiama Franco Campetti ed è un falegname di Gargnano di 82 anni che lavorò per il Duce nel periodo della Repubblica Sociale. Raccontò di come costruì con le proprie mani quattro casse di legno “foderate” poi di zinco per renderle impermeabili all’acqua. Mussolini le avrebbe ordinate all’inizio di aprile del 1945 quando, impaurito, stava per lasciare Gargnano.
“Quasi tutti i giorni – raccontò il falegname – veniva in bottega l’usciere del Duce per sollecitarmi. Costruii le quattro casse in due settimane. A metà aprile il Duce riempì personalmente due casse, non so che cosa ci mise. Ormai da Gargnano era tutto un fuggi fuggi. Il Duce chiese a me di riempire le altre due casse. Feci la spola tra il pianoterra ed il locale sotterraneo dov’erano custodite le carte”. Secondo il falegname poteva trattarsi di copia del carteggio Churchill-Mussolini, andato perduto durante i tragici fatti di Dongo. “Il 18 aprile del 1945 – disse il Campetti – aiutai a caricare le quattro casse, pesantissime, su un motoscafo che andò al largo. Dalla riva vidi poi scaricare le casse nel lago”.
C’è un seguito significativo che ci porta a qualche mese dopo, quando lo statista inglese, alla fine del 1945, trascorse alcuni giorni sul lago. “Un giorno – disse il falegname – mi prelevarono e mi portarono all’hotel Savoia di Gardone. Churchill mi fece un sacco di domande su quelle carte e sulla loro sorte”.
48 anni dopo.
Nell’ora della verità, quella del maggio del 1993 quando i sub recuperarono le casse, il Campetti, intervistato e fotografato come una star, non volle però confermare se quelle fatte riemergere erano le casse giuste. Non si sbilanciò neppure quando le casse recuperate dai sub vennero messe ai piedi della nipote del Duce Alessandra e di tutta la bella compagnia degli eccitati presenti.
Questore, Carabinieri, telecamere, tivù bollenti, fotoreporter scatenati, il momento è solenne. E il mondo di colpo crolla. Nelle sgangherate casse solo delle munizioni, quindi poltiglia, alghe e qualche mollusco. Un duro colpo alla grande storia e, tra sconforto e sconcerto, c’è anche chi, da buon uomo di lago, sorride e se la gode.
La Mussolini delusa non si arrende. “Bisogna cercare, il tesoro esiste” dice e La Russa mefistofelico approva. Tra i presenti alla scena dell’apertura-beffa c’è il rivano Cornelio Galas, giornalista inviato da “l’Adige”, spalleggiato dal fotografo Graziano Marchi. Il giorno successivo Cornelio titola così su “l’Adige” il suo pezzo di cronaca: “Tra bufale e clamori”, e riporta, per stare in buona compagnia, i titoli dei giornali nazionali, velenosi per il mancato scoop: “Il Duce ci ha fregati ancora”, “Il giallo è finito come il fascismo. Le casse del Duce caricate a salve”, “Bufala postuma di Benito Mussolini”…
Il falegname Franco Campetti, rubata in quei giorni di una trentina d’anni fa la scena al Duce, lasciò questa terra nel 2000 senza mai rivelare se le casse ripescate erano quelle da lui confezionate o se si dovevano cercare quelle giuste in un altro punto del lago. Che solo lui conosceva. Ma a chi lo incalzava per conoscere il punto esatto rispondeva: “Muto come un pesce, l’ho promesso al Duce”.
Vittorio Colombo