Quando i Caccia americani mitragliavano la galleria del Brione

Vittorio Colombo30/01/20225min
All-focus

“I caccia americani, che picchiate! E che sventagliate di mitraglia nella zona di porto San Nicolò!”.
Carlo racconta, porta la mano destra in alto, poi la cala di colpo, come una sciabolata. Mima le evoluzioni di un caccia americano in picchiata e accompagna il gesto con un sibilo acuto, fa vibrare le labbra con un suono che vorrebbe richiamare il rumore della mitraglia. Ha occhi lontani, il vecchio Carlo che torna, come in un film, ai primi mesi del 1945, quelli che, con la battaglia di Riva di fine aprile, portarono alla liberazione dal giogo nazista.
“Ero un ragazzino ed erano gli ultimi mesi di guerra. Per noi ragazzi del Brione quello delle incursioni dei caccia americani era un appuntamento atteso, vissuto con l’incoscienza propria dell’età. La zona di porto San Nicolò era strategica. I raid americani si susseguivano con frequenza. Il piazzale del porto e il Forte erano capisaldi tedeschi con armi, merci e mezzi ammassati mentre nelle acque interne erano ormeggiate imbarcazioni, spesso cariche di armi.
I piloti dei caccia americani sapevano che dentro la galleria, in caso di allarme, si rifugiavano i tedeschi con i loro mezzi. I piloti erano dei diavoli di bravura, le loro manovre straordinarie. Venivano dai cieli del monte Baldo, sfioravano Torbole, sembrava che precipitassero tanto si abbassavano a fil di lago. Mitragliavano d’infilata e, quanto bastava di sbieco, la “bocca” della galleria del Brione. Passata rasente la montagna e il fortino, i caccia s’impennavano di colpo. Salivano in cielo, viravano e giù in vorticosa picchiata, dalla parte di viale Rovereto. E di nuovo mitragliavano la “bocca” della galleria da quel lato. Rumore assordante degli aerei e delle mitragliatrici, bagliori, lampi, fiamme. I raid dei caccia non davano scampo. Ancora oggi, se si guarda sopra la galleria, dalla parte di viale Rovereto, si vedono nella muratura, i buchi lasciati dai proiettili partiti dagli aerei.
Quei raid furono devastanti per le truppe tedesche; ci furono morti e mezzi distrutti e bruciati. I tedeschi cercarono un rimedio aprendo una piccola galleria laterale nella quale cercavano di ripararsi.
Si ricordano altre incursioni nella zona come il mitragliamento del piroscafo “Angelo Emo”, ancorato nel Porto e poi riportato a galla dai tedeschi (nella foto) e l’attacco ad una colonna di camion su viale Rovereto. In mezzo c’era una ambulanza con la croce sul tetto: i caccia colpirono con “precisione chirurgica” i mezzi militari lasciandola intatta.
Ma c’è spazio, nel racconto del testimone, anche per aneddoti singolari. Come quello delle biciclette. Con dei barconi, trainati da imbarcazioni a motore a nafta, i tedeschi portavano materiale di ogni genere dal basso lago a Riva. Una volta vennero ammucchiate nel cortile del porto almeno duemila bici, nuove, tutte “Bianchi”. Gli americani credevano fossero macchinari da guerra e bombardarono. Dall’ammasso di ferraglia venne recuperata qualche bici che venne fatta sparire. Un paio anche dalla compagnia di amici della zona.
Una volta, colpito dalle mitragliatrici degli aerei, andò a fuoco un camion di scatole di budino. I tedeschi sgombrarono la galleria e fecero trasportare tutto quello che restava nella campagna del “Savèl”, ora pizzeria l’Ora”. Un’occasione da non perdere. “Ci fu – ricorda Carlo – la pronta incursione della nostra compagnia. Molte scatole erano ancora intatte. Le recuperammo con carriole. E, noi ragazzi del Brione, facemmo festa per un bel po’ con grandi scorpacciate di budino”.
Negli scenari tragici fanno talvolta capolino bagliori di umanità e di leggerezza. Che possono avere il gusto del budino, gusto dolce per ragazzi ai tempi di guerra.
Vittorio Colombo



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