La voce della mamma che arriva nell’aria

Vittorio Colombo22/06/20254min
s.alessandro

C’è una voce che ci accompagna e che arrivava con il vento o con la brezza della sera. C’era, quando eravamo piccoli, la piazza del paese e, in un suo cantuccio, una panchina accanto ad un muretto. A far da capanna le fronde di un vecchio olivo. Era il luogo di ritrovo, una sorta di porta del tempo aperta sul rincorrersi delle nostre stagioni, da quando eravamo bimbi ai giorni del passaggio da adolescenti alla dimensione dei “quasi adulti”. Storie di paese.
Un gruppo di amici si ritrovava ogni sera, dopo il rosario di un maggio che sapeva di “avemarie” e di rose, o nelle calde sere d’estate, quando la brezza veniva da nord con il “Balinòt”. C’era il lampione sopra il cielo della piazza ma la luce, quasi timorosa, arrivava a lambire soltanto la panchina delle confidenze, dei sogni, delle amicizie per la vita; tutt’intorno il buio sereno, il silenzio, talvolta rotto dall’assurdo canto notturno delle cicale. Il tempo era lento. Le nostre parole, colorate di quotidianità e di segreti, erano brusio lieve, come preghiera sussurrata. Era il tempo delle speranze, degli affetti e dell’attesa. L’attesa era per le voci e ciascuno di noi attendeva la propria. Arrivava la prima voce: era quella della mamma dell’amico più timoroso. Il nome dell’amico risuonava come un grido, perché, arrivando da lontano, era forte, ma non inquietava perché era affettuoso richiamo. Scandiva l’ora del ritorno a casa, del rientro nella quotidianità protettiva della famiglia. Le voci delle mamme arrivavano a brevi intervalli l’una dall’altra. Chiamavano “Paolo”, “Mario”, “Giovanni” e, di seguito, gli altri nostri nomi. Non erano solo il richiamo alla famiglia, ma anche al nido-rifugio. Venivano, bucando il buio, da diverse case di Sant’Alessandro, ma anche dalle campagne del Brione, dalla Colombera, perfino da Maso Belli e dalla Filanda. L’amico richiamato si alzava quieto e salutava con un “Ciao, a domani”. Lo seguivi mentre camminava, le mani in tasca. Entrava nel buio scomparendo, seguendo il cammino che la voce aveva percorso, come seguendo un filo d’Arianna nel sentiero aperto nell’aria buia. Immaginavi la mamma sulla porta: “Muoviti che è tardi! a letto!”. Il rituale delle voci delle mamme e il risuonare dei nomi dei figli si ripetevano. Il gruppo di amici, via via, andava assottigliandosi. Avevi chiesto alla mamma di chiamarti il più tardi possibile. Ti piaceva essere l’ultimo. Ti piaceva guardare gli amici lasciare il posto degli incanti e restare solo. Il cuore batteva nell’attesa che, allora, era tua e soltanto tua. La luce del lampione avanzava sulla ghiaia e cercava di ghermirti i piedi, con le cicale scatenate nel loro concerto fuori orario, il silenzio dei campi che riposavano, l’immagine delle porte aperte, delle mamme sulle soglie.
Poi, di colpo, sei diventato un ragazzo e il tempo della panchina e delle voci è finito di colpo. Da una parte ti dispiaceva, dall’altra eri contento perché, come tutti, non vedevi l’ora di diventare grande. Ma quelle voci non le avresti più dimenticate. Nel sommarsi delle stagioni, delle vite degli altri e della tua stessa vita ci sono sempre. Quella voce, che chiama il tuo nome, è un volto e una presenza che saranno sempre con te.
Vittorio Colombo