Il diavolo ballerino del Linfano
Beh, raccontata la leggenda del “Bis del Lufàm”, ecco che si fanno avanti amici e attempati testimoni che dicono di “saperne una pù del diàol” perché, da sempre, il Linfano è considerato, grazie a credenze popolari, credulone e a volte scherzose, luogo magico frequentato da streghe e mostruosità varie. Le famiglie contadine la sera si trovavano a far filò e le sparavano grosse. Parliamo degli anni del Dopoguerra…
El pont del diàol
Una volta c’erano più “fitte”, corsi d’acqua che segnavano le campagne, giù verso il lago. Una di queste era attraversata da un ponte in legno sul quale passavano anche i carri con i buoi. Era una notte più buia delle altre, quando successe. Due fratelli di Arco si apprestavano ad attraversarlo per tornare a casa. Ma proprio nel bel mezzo del ponte si materializzò una figura terribile in un alone di fuoco vivissimo. “El diàol… el diàol!” urlarono i due fratelli che, datasela a gambe, tornarono ad Arco facendo il giro del Brione. Non si sa bene se i due erano ben carburati o se inventavano balle da bar. A forza di raccontarla, il ponte dell’apparizione diventò noto come “el pont del diàol” e, come tale, finché resistette, fu conosciuto.
La casa dell’impiccato
Sulla strada del Linfano c’era questa casa diroccata. Muri sbrecciati, tetto che traballava, spifferi d’aria che se la suonavano. Intorno a quel rudere si sviluppò una diceria che ancora molti ricordano. La strada, allora, non aveva luci o lampioni e chi passava in bici o anche con il carro accelerava l’andatura. C’era infatti chi sosteneva di aver sentito, nelle notti più tormentate, provenire dalla “casa maledetta” urla strazianti. Secondo alcuni creduloni la casa era infestata dal fantasma di un impiccato che non trovava pace e, di tanto in tanto, terrorizzava chi passava da quelle parti. In ogni caso il fantasma, neppure urlando, disse mai chi era e perché penzolava appeso per il collo ad una trave malsicura.
Il ballerino indiavolato
Non so proprio dirvi se anche questa colorita leggenda abbia come riferimento la casa diroccata dell’impiccato. È probabile. La leggenda, raccontata nei filò, diceva che certe sere la casa si trasformava. Si accendevano luci e candelabri, apparivano tende e tappeti, servitori in livrea. Poi cominciavano ad arrivare misteriosi personaggi addobbati alla moda di una volta. E le dame portavano con civetteria ardite giarrettiere, non in faccia, perché lì tenevano delle maschere. Va beh, fatto sta (o starebbe) che tra i convenuti, dei viziosi della malora, scoppiavano delle vere orge scatenate. La gente diceva che in quella casa si tenevano “balletti verdi”, o anche “balletti rosa”, e tutto diventava, scusate ancora, un vero “troiaio”. Ma adesso viene il bello. C’era un cavaliere, bello e di modi squisiti. Guidava i balli ed animava, non vi dico come, le simpatiche festicciole. Puzzava di zolfo, aveva sguardo luciferino, ma quel che mandava in visibilio erano le sue gambe pelose, da animale, che andavano a terminare in zoccoli da caprone.
Vittorio Colombo