Faceva così caldo che i Rivani dormivano in spiaggia
Ma tu hai mai dormito in spiaggia? alla Purfina o ai Sabbioni? Se fai parte di quella schiera di disperati che passò notti indimenticabili a un passo o magari con i piedi dritti nel lago, sai di che cosa parlo.
Erano i primi anni Ottanta e le estati (una in particolare) erano così torride che l’Inferno, quello con le fiamme e i diavoli con i forconi, era visto come un luogo di villeggiatura. E tutti giù a dire: “Siamo già belli e fritti. Andiamo tutti arrosto!” e il tasso di cattiveria era una pentola a pressione. Bollivano i radiatori e gli animi. Di notte occhi sbarrati al soffitto e al materasso, che era di quelli ad acqua, ma per il sudore dei senza pace. Così, come nei tempi delle rivoluzioni epocali, scoppiò il fenomeno delle notti in spiaggia, al cospetto della luna, ma soprattutto delle acque del lago. Magari calde, ma sempre di qualcosa di liquido si trattava e si tratta.
Il pensiero comune, di partenza, fu questo: “Andiamo a farci un bel bagno serale o notturno. Così poi restiamo freschi”. E, come per un passaparola dettato da disperazione condivisa, iniziò il grande esodo di famiglie, gruppi, categorie con imberbi, lattanti, diversamente anziani, capelloni, pelati, eccetera, eccetera. Preferibilmente in bici. Asciugamano sulle spalle e, dopo il telegiornale con le solite incazzature, via! Le case si svuotavano, perfino i bar erano disertati. Spiagge, dalle nove o giù di lì, piene, che era un piacere pestare chi stava su un asciugamano in attesa del tuffo. Non per inciviltà, ma proprio perché non si vedeva un bel tubo. I bagni di massa, con deliziosi spruzzi, gridolini di piacere e altre amenità, furono l’inizio.
L’antipasto. Perché poi… si sa come: da cosa nasce cosa. Ci furono i beati precursori. Gli ispirati dal cielo che aprono le strade. E molti giù a dire: “Che bello il bagno con la luna! Ma io nel forno di casa a dormire con il cavolo che ci torno!”. Così successe. E le spiagge, Sabbioni e Purfina, diventarono in un amen accampamenti a cielo aperto di dormiglioni, “Figli delle stelle”, come cantava in quei tempi il buon Alan Sorrenti. “Dormono in spiaggia, beati loro…”. La buona novella si diffuse a macchia d’olio, che di giorno era bollente. L’invidia per i tuffatori della mezzanotte e mezzaluna fece il resto. L’imitazione ci mise del suo. Perfino i finiti al neuro per colpi di caldo lasciarono l’ospedale per le spiagge. Riva divenne “città spiaggiata”. Mezza città, quando dalla Rocchetta scendevano le prime ombre, lasciava le case; carovane di cittadini da rioni e frazioni. E comparvero le masserizie. Mica si poteva dormire sui sassi, che diamine! Sulle spalle, sui tetti delle macchine, a tracolla materassini di gomma, ma soprattutto i lettini di norma usati per prendere il sole. Solo che non era un uso obbligatorio, che si trovava nelle istruzioni. E del resto Mina cantava “Tintarella di luna, tintarella color latte”, eccetera. La spiaggia la notte era, in quegli straordinari giorni, pardon, notti, uno spettacolo. Non c’era più un metro libero. Lettini, materassi, sdraio, suocere, c’era di tutto per starci sopra comodi. E, mentre la Riva delle case bolliva nell’afa, in spiaggia, dove era radunata la Riva più vivace e sollevata, almeno un po’ dall’inferno, si celebravano riti che avrebbero fatto la felicità di un sociologo. Si “ciacolava”, si familiarizzava, si amoreggiava, si giocava ai castelli di sabbia. Poi comparvero i “barbecù” e le grigliate mandavano in giro odori di salsicce e peperoni. Una delizia che rendeva gradevole perfino l’odore del “freschìm” del lago.
La notte era scandita dai bagni refrigeranti tra un sonnellino e l’altro, quindi dal ronfare da ciclope Polifemo del vicino di lettino, dalla chitarra del solito che pensava che “La canzone del sole” di Battisti strappasse ardori femminili, nonostante il titolo maledetto. Oggi, chi visse quella pazzia, ricorda. Ricorda anche chi c’era tra i vicini di “lettino spiaggiato”: i ragazzi del basket, le ragazze della pallavolo, i commercianti di via Maffei, i preti e i sacrestani della canonica, eccetera, eccetera. E c’era sempre, presenza autorevole per peso specifico, il campione della barca a vela, il mitico Gianni Torboli, con lettino rinforzato. Mi fermo perché un colpo di calore mi blocca i tasti del computer. E allora torno alla domanda iniziale: “Ma tu, allora, hai dormito, dico tutta la notte, in spiaggia?”.
Vittorio Colombo