In un Trentino sempre più attrattivo dal punto di vista turistico ma sempre più in difficoltà sul fronte della residenzialità, torna d’attualità una questione tanto complessa quanto urgente: la carenza di alloggi per lavoratori stagionali, giovani coppie e famiglie, aggravata dall’aumento della pressione turistica e da un mercato immobiliare spesso inaccessibile.
La consigliera provinciale del Partito Democratico Michela Calzà, già vicesindaca di Dro, ha presentato nei giorni scorsi un’interrogazione per fare il punto sui risultati dell’applicazione della Legge Provinciale n. 4/2024, che ha previsto la possibilità di riutilizzare strutture alberghiere dismesse per ospitare lavoratori. Un provvedimento che, sulla carta, avrebbe dovuto contribuire a mitigare la scarsità di alloggi nei territori a forte vocazione turistica.
L’interrogazione prende in esame l’intero comparto provinciale, non solo l’Alto Garda e Ledro, anche se è proprio in quest’area – dove convivono vocazione turistica e domanda abitativa crescente – che la questione è particolarmente sentita.
Alla richiesta di una valutazione concreta, la Giunta ha però risposto – secondo Calzà – in modo “evasivo e imbarazzante”, limitandosi a elencare le norme urbanistiche vigenti e sostenendo che “le competenze sono di livello comunale” e che i dati richiesti richiederebbero “un’indagine specifica”.
Non soddisfatta, la consigliera ha rilanciato con un’interrogazione a risposta scritta, chiedendo dati chiari e aggiornati su:
• quante strutture ricettive dismesse siano state effettivamente riconvertite;
• la loro capienza, collocazione territoriale e tipologia;
• il numero di lavoratori ospitati, il settore di impiego e la durata media del soggiorno.
Secondo un censimento del Servizio Turismo del 2022, circa il 10% delle strutture alberghiere risultava dismesso da oltre un decennio: parliamo di 143 hotel chiusi, spesso in stato di abbandono, che oltre a deturpare il paesaggio potrebbero rappresentare una risorsa per l’emergenza abitativa.
“La mancanza di alloggi – osserva Calzà – colpisce le giovani coppie, penalizza le famiglie e mette in difficoltà le imprese, che non trovano collaboratori disposti a trasferirsi. È un problema strutturale che investe il lavoro, il welfare abitativo e lo sviluppo sostenibile del turismo”.
Nel mirino della consigliera c’è il rischio che le misure già varate si rivelino inefficaci o non applicate, e che la Provincia continui a produrre “norme manifesto” senza verificarne l’impatto reale.
“Prima di proporre nuove soluzioni, occorre capire se quelle già approvate hanno avuto un effetto. Diversamente, non risponderemo alle vere esigenze del territorio, ma costruiremo solo facciate normative”, ha aggiunto.
Calzà sottolinea come alcuni dati utili dovrebbero essere già disponibili presso l’Ufficio ricettività e professioni turistiche della Provincia, che ha competenza sulla gestione amministrativa delle strutture ricettive e fornisce supporto agli enti locali.
In attesa di una risposta chiara, resta sul tavolo una questione centrale per l’intero Trentino: come coniugare sviluppo turistico e diritto alla casa, evitando che il territorio diventi sempre più ostile a chi ci vive o ci lavora.