
Al suo primo funerale lui, il Guerrino De Lana, era assente. Non arrivò neppure in ritardo. C’erano nella chiesa dell’Assunta di Riva i familiari affranti, gli amici, la sua foto tra i fiori e il berretto della Folgore. Si pianse, come disse l’officiante, “l’eroe morto”, ma la bara proprio non c’era. Ma era davvero morto il Guerrino? In quel preciso istante, nel quale gli si dedicava il “requiem”, in realtà si trovava in Spagna, in un ospedale, magari un po’ malconcio, ma vivo e vegeto. Era partito, ai primi del 1936, lui paracadutista della Folgore, inviato da Mussolini per combattere per la causa di Franco. Battaglia di Malaga, 5 febbraio del 1936: coltello tra i denti, bombe a mano e via, all’attacco. Le pallottole fischiano, le bombe scoppiano, un vero inferno.
Il Guerrino viene centrato da una fucilata che gli trapassa l’inguine. Cade, ferito, in una profonda, ma provvidenziale buca. Vi resta acquattato finché, recuperato, viene portato all’Ospedale. “Questo non arriva a sera!” dicono i medici. La voce si diffonde e, quando giunge a Riva, ha subito un lieve, ma non trascurabile mutamento: “Questo non è arrivato a sera!”. Insomma, si piange il morto che proprio del tutto morto non era. La pallottola era fuoriuscita dall’altra parte, così se l’era cavata.
Ma visto che amore e morte amano andare a braccetto, ecco che la Spagna fu galeotta anche per gli affari di cuore dell’aitante Rivano. Vi era appena arrivato, all’inizio di quel fatale 1936, quando si innamorò, ricambiato, della bella Maria Herrera del Rosario. Si scambiarono promesse. “Aspettami, torno da te dopo la guerra” promise il paracadutista. Si fanno progetti e poi il destino ci mette del suo. Infatti gli successe di tutto: la ferita in battaglia, la buca della provvidenza, il referto dei medici, il funerale senza il morto in quel di Riva e… non fa in tempo a tirare il fiato che già lo spediscono a combattere in Albania.
Finisce finalmente la Seconda Guerra Mondiale e si torna alla vita. Guerrino, da Riva, scrive lettere su lettere alla sua passione spagnola, ma non arrivano risposte. Così, dopo un po’, si mette il cuore in pace. Passano alcuni anni. Ha ormai la sua vita piena ma, a un certo punto, gli prende la voglia di sapere. È il 1954 quando parte con due amici: Ippolito Bresciani, che sta alla guida della sua Fiat 1100, e il fotografo Tiziano Biatel. Arrivati, i tre scoprono altarini non proprio piacevoli: il padre della ragazza aveva intercettato e distrutto tutte le lettere. Così la povera Maria, certa della morte dell’amato, fattasi suora si era chiusa in Convento. Capitolo chiuso, così erano andate le cose! Il trio decide allora di andare alla mitica buca, diventata famosa in quel di Riva, visto che il Guerrino aveva raccontato quella storia anche ai paracarri. Il posto era quello giusto, ma di buche nemmeno l’ombra: terreno piano come un biliardo. In convento Maria Herrera del Rosario, un nome da destino di “avemarie”, la buca spianata senza pietà… Ah! questi Spagnoli! La 1100 fa ritorno a Riva.
La vita riprende, il Nostro diventa il “Guerrino del Trenino”, porta comitive sul lago con il barcone “Norge”, è “Ammiraglio” a fianco dell’amico Carlo Modena nelle Notti di Fiaba, gestisce l’albergo Panorama a Pregasina e fa mille altre cose. Ha 88 anni quando, nel febbraio del 2006, muore. Gli fanno il funerale nella chiesa dell’Assunta ed è il secondo a suo nome. Questa volta “l’òbit” celebra davvero la fine della sua vicenda terrena.
Per buona sorte ci sono storie come questa che sopravvivono al tempo per raccontare le vivaci stagioni della bella Riva.
Vittorio Colombo