Gli operai dell’impresa Chiarani danno vigorosi colpi di piccone. Lavorano stando in piedi sui muri ormai quasi del tutto demoliti della grande casa della Dogana, di quella che oggi si chiama piazza Catena a Riva. L’anno è il 1930. Gli operai hanno iniziato i lavori il 28 marzo. Si prevede che saranno conclusi nella seconda metà dell’aprile successivo. C’è un uomo che se ne sta fermo, in piedi, davanti a quel che resta del fabbricato. È lì dai primi colpi di piccone, fa qualche parola con gli operai, e dall’alba al tramonto se ne sta lì con le mani in tasca. Veste un abito di dignitosa eleganza, con camicia e cravatta, ed ha il cappello. Si vede che non è un operaio. Lo sanno tutti, tecnici ed operai, chi è quell’uomo che segue ogni colpo di piccone e che ha occhi tristi, quasi assistesse ad un lungo rito funebre.
Si chiama Benoni, “signor Benoni” per tutti, ed è stato per molti anni il “ricevitore pesatore”, il responsabile della Dogana che, controllata dai dazieri austriaci, segnava il confine tra l’Impero austroungarico, al quale Riva apparteneva, ed il Regno d’Italia dalla parte del lago. Era un incarico importante e di prestigio quello del funzionario addetto a tutte le operazioni relative alle merci in entrata o in uscita, sia da una parte che dall’altra. Già dodici anni erano passati dal novembre 1918, anno della “Redenzione”, che segnò il passaggio di Riva all’Italia, 12 anni di purgatorio per la casa che, in qualche modo, ricordava un’epopea ormai del tutto passata. Così il signor Benoni, con la sua tristezza e la sua caparbia presenza in quel luogo che lo aveva visto rivestire un compito importante, aveva finito per rappresentare la personalizzazione di un processo di cambiamento storico inarrestabile.
Riva cambiava, troncava con il passato e con i suoi segni, e guardava ad un futuro nel quale non c’era davvero spazio per dogane o per pesatori vari. L’antica casa della Dogana era situata in posizione strategica per l’ingresso in città e nel territorio. Non è nota la data precisa della sua costruzione, si sa comunque che questa fu una delle prime case costruite a Riva, tanto che faceva parte delle mura della città. Per secoli era il posto nel quale si esigeva il pagamento del dazio e “la muda” (tassa che si esigeva per consentire l’ingresso in città) per sé e o per il Principe Vescovo, poi per l’Imperatore dell’Austria. Una data importante è quella del 1866, quando la Dogana, posta al confine di Stato, segnando come detto il limite di transito tra il Regno d’Italia e l’Impero austriaco, divenne internazionale. Fu un periodo di intensa attività anche e soprattutto per i fiorenti scambi commerciali, che avvenivano con l’uso dei barconi e dei bragozzi, i grandi velieri da carico che solcavano il lago portando merci dal sud del lago e in senso contrario.
Erano importanti anche gli arrivi e le partenze con i battelli, soprattutto se si considera che, a fine Ottocento e primi del Novecento, Riva ed Arco con il “Kurort” erano luoghi di villeggiatura e di cura, grazie alla salubrità dell’aria e delle bellezze naturali. I traffici erano dunque intensi e alla Dogana si pagavano il dazio imperiale, provinciale e comunale. Le cose cambiarono con la fine della Grande Guerra. La svolta si ebbe nel 1926, quando il Comune chiese all’architetto Giancarlo Maroni di ristrutturare il fabbricato, ma Angelo Maturi, gestore dell’hotel Europa, diede 40mila lire al Comune per demolire il fabbricato e aprire lo slargo di piazza Catena. La zona era di interesse vitale. Fra l’altro, nel 1927 e 1928, volgevano ormai al termine i lavori di costruzione della Centrale Idroelettrica. Così il 19 aprile del 1930 si conclusero i lavori di abbattimento dello stabile e si aprì lo spazio della nuova piazza, chiamata “piazza Benacense”, perché anche prima era una piazza e precisamente “piazza Castello” o “piazza Atena”. Le date e alcune note di questa vicenda vennero consegnate alla storia dallo stesso signor Benoni, il “ricevitore pesatore triste”.
Vittorio Colombo