Va la barchetta: è il mio legnetto nave-pirata, che solca le onde della fontana. A un passo dalla chiesa, vicino al “bàit dela Orsolina”, c’era una grande fontana. Faceva da ancella ad una vaschetta rotonda che, solo lei, è stata salvata. L’oceano solcato dalla mia nave-legnetto non è stato risparmiato dalle mazze. C’era dunque, in tempi belli, quella fontana. Era una grande vasca rettangolare in cemento e se ne stava parallela alla strada, ma defilata in una rientranza che si trovava a fianco dell’androne, dove si facevano le lotterie. Le donne, di mattino presto, vi lavavano i panni. Facevano sonori “splassh” quando, dopo averli alzati sopra le teste, li sbattevano a tutta forza sul parapetto in pietra, per poi rituffarli di nuovo nell’acqua mossa, “bruschinarli”, “saponarli” e poi sbatterli ancora. Nell’aria una canzone fatta di schianti, spruzzi e da un chiacchiericcio, garrulo e fitto. Il Silvano, affacciato alla finestra di casa sua, qualche metro più a nord, prendeva il fresco del mattino. Era l’ora del giornale radio del paese.
Andava in onda proprio nell’onda mossa della vecchia fontana. “La Tale non si vede più, è via, da parenti, perché la pancia già si vedeva”. Era, quel fitto chiacchiericcio reiterato come un rosario laico, un notiziario che oggi sarebbe etichettato come “gossip”. La compagnia delle lavandaie era nota in paese come il “Gazzettino”, ma anche come la “Compagnia della buona morte” perché malattie, vere o presunte, erano titoli strillati che l’acqua della fontana raccoglieva e portava via nello scarico, perché un po’ curiosa, un po’ imbarazzata da tanta civetteria.
Come uscito da un presepe arrivava allora il Rico, cappellaccio in testa, passi lenti e non misurati. Portava, tenendola con un legaccio come fosse la sua signora, la sua mucca. Si vedeva che andavano d’accordo, entrambi avevano lo stesso passo strascicato. La mucca immergeva il muso nell’acqua della fontana, facendosi largo tra lo sbatter dei panni. E sbavava. Eccome se sbavava. L’acqua diventava biancastra di bolle. Le donne insultavano e strillavano, la mucca beveva di gusto e sbavava, mentre il buon Rico se la rideva contento. Girava poi la mucca come fosse un armadio e la coppia si avviava per tornare a stalla. La mucca, ad ogni passo, faceva i suoi copiosi bisogni. La sequela di “boazze” segnava il cammino lungo tutta la piazza. Era il momento del “Salatina”, così era chiamato lo spazzino del paese. Spingeva il carretto con gli attrezzi del mestiere e, usando il badile, toglieva, senza mai lagnarsi, i maleodoranti lasciti della mucca.
E che dire delle feste? Erano avvenimenti. Spesso in quelle occasioni arrivava da Riva il Lutteri. Scaricava dal camioncino grosse angurie che finivano a galleggiare, strette strette, nella fontana. La sera poi del giorno della sagra, a fine agosto, la squadra del paese, la “Fulgor”, e lo “Splendore” giocavano, nel vecchio campetto, la tradizionale partita di calcio. La piazza, quella sera, era gremita. I “Fulgidi” giovanotti, poiché nelle vecchie scuole non c’erano docce, attraversavano, correndo come matti, la piazza. Si facevano largo, a spintoni, nella ressa e, in piena corsa, si spogliavano: via la maglia, via i calzoncini. Così in mutande, gonfiando i muscoli, puntavano e “urtavano” le ragazze che strillavano eccitate. Si tuffavano poi quei matti, uno sopra l’altro, in un allegro groviglio di nudità. Urla, spruzzi e gavettoni riempivano la piazza. Va beh, quante ce ne sarebbero! Noi ragazzi, quando l’agosto martellava, mettevamo nell’acqua della fontana i piedi per poi immergerci fino al collo. L’acqua era fredda e i “diaoleti” nel bollore del Creato davano frizzi di gioia. Va la mia barchetta-pirata, un pezzo di legno sagomato dal coltellino solca quell’oceano, fontana di un paese che non c’è più.
Vittorio Colombo
(Nella foto lavandaie alla fontana di Stranfòra ad Arco)
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