“El Sandrone co la só Dora ‘l va for col vent e ‘l torna dentro co l’Òra”.
Che storia quella del Sandrone, “barcaról” dalla forza leggendaria! Erano i primi anni Cinquanta del secolo scorso, come ricorda Ivo Brighenti, che a 4 o 5 anni con la Dora aveva fatto il battesimo del lago. E il Sandrone? “L’era ‘n armar” dice Franco Albino, allora “marochèr”, cioè “bocia” del Marocco. “Era un gigante – dice Ezio Folgheraiter – il il vero re della vela”. Se lo ricorda bene anche Federico Zucchelli: “C’erano anche il Tamanini, padre del Nano, e il Gianni”. “Una montagna – rilancia Giancarlo Civettini – Era meglio stargli alla larga, perché quando si arrabbiava erano dolori per tutti”. E, a quanto pare, gli saltava spesso la mosca al naso. “Abitavo in quelle che sono le tre finestre del Municipio a sinistra. Vedevo certe scene… Il Sandrone ne stendeva tre alla volta e qualcuno lo buttava nel lago”. Da leggenda: si dice che, quando serviva, si caricava la barca sulle spalle e la portava in giro.
Cala Trinchetto! Quelli che tiravano sera, con fiaschi di vino buono e salame, sotto l’Alber de la Maldicenza, potevano raccontarti di aver pescato una balena nel canale della Rocca. In realtà, come rileva Franco Albino, erano scardole cresciute con i fumi del merlot. Va beh! Anche Paolo Furletti, dinastia di barcarói, ha ricordi di imprese del Sandrone. Luciano “Lucianino” Dassatti, cresciuto alla Fraglia rivana e diventato poi Ammiraglio, lo tiene tra i suoi ricordi: “La Dora era una barca mitica a quei tempi, per me cara perché vela e fiocco erano stati confezionati dalla mia mamma. Era, da sobrio, un marinaio di valore. Da lui imparai a far virare le lance in prora, una tecnica che poi usai sulla Vespucci a due alberi”.
Sandrone dalla forza erculea, la fedele barca Dora, le belle scazzottate, Òra e vento che accarezzavano le virate della leggiadra barchetta… Un mondo da favola? Fu davvero età dell’oro, ma arrivò, come un terremoto, una disgrazia immane: i motori per le barche. Fu uno shock per i barcarói. L’ambiente si divise. Da una parte i progressisti che dotarono le loro barche del motore e dall’altra i nostalgici, per lo più quelli della vecchia generazione come il Sandrone, che iniziò, a suon di insulti e di cazzotti, la sua battaglia contro i traditori delle barche a motore.
Che i tempi stessero cambiando lo dimostrava il fatto che le comitive di turisti snobbavano le barche a vela e a remi e si imbarcavano sulle imbarcazioni a motore. Il Sandrone andò in paranoia. Franco Miorelli così ricorda: “Il Sandrone, che era fratello del Gigioti e che abitava in via Montanara, per farlo felice come una Pasqua bastava dirgli: Sandrone, viva la vela, abbasso il motore!”. Ribadiva Giancarlo Angelini, lupo di lago purtroppo scomparso: “Quel che è certo è che odiava il motore sulle barche”. Il Sandrone cadeva sempre più nel profondo, guardava la sua Dora che, sempre più trascurata dai clienti, intristiva afflosciando le vele. Tutti ormai, i vecchi compagni di tante belle remate e veleggiate, gli stavano alla larga.
Accadde che un brutto giorno riuscì a convincere una piccola compagnia di turisti, anzianotti come lui, a salire a bordo della Dora. Facendo forza sui remi, come un vecchio Caronte, stava portando la barca fuori dal canale della Rocca. Difficile dire perché successe. Forse lo sorpassò una strafottente barca a motore. Sandrone, dritto e imponente, alzò un remo e cominciò a calare colpi terribili, dove capitava. Menava colpi sull’acqua, ma colpiva anche le fiancate della barca. Le assi scricchiolavano e la Dora, per il sinistro rumore provocato dai colpi, sembrava piangere. I poveri passeggeri strillavano, ma, per fortuna, l’indiavolato Sandrone si guardò bene dal centrarli. Fu, secondo le voci che circolarono, l’ultima volta: il gigantesco Sandrone e la sua Dora con le amate vele finirono i loro giorni nelle vecchie storie di lago, quelle che fanno nostalgia per una stagione della vecchia Riva che, allora, se ne andava a morire.
Vittorio Colombo