Se i pidocchi cadevano nel piatto, eran dolori. Anni Trenta, colonia elioterapica “ai Sabbioni”: bimbi rapati antipidocchi, un piatto di pasta, un panino, un bicchiere d’acqua ed essere contenti. Erano anni di fame boia. D’estate “ai Sabbioni”, dove c’erano le baracche di legno usate anche dai soldati e nel Dopoguerra come spogliatoi della Benacense, venivano organizzate opere di assistenza. Si chiamavano “elioterapiche”, perché il sole era ritenuto un toccasana, per quel che serviva, contro il rachitismo, allora un triste flagello. Per i pidocchi non c’era altro da fare. I ragazzi venivano pelati. La spiaggia dei Sabbioni, non a caso, era nota ai caustici Rivani come quella “dei peladèi”.
Poi, anche in quegli anni, aveva una funzione importante. Dava sostegno alle famiglie che non se la passavano di certo bene. Ma non accoglieva solo i figli della povera gente. In Colonia ci andavano, o ci dovevano andare, tutti. Era infatti organizzata come una piccola città del sole e dei bambini. C’erano cucine in grado di far fronte alla grande fame di schiere di bambini che, di norma, un buon piatto di pasta lo vedevano col binocolo. Erano anni di polenta e di pellagra e di pance inutilmente gonfie. Alla colonia “ai Sabbioni” tra le due guerre erano impiegate inservienti e assistenti e numerose cuoche, che facevano manicaretti, ma anche volontariato e opere di misericordia. C’era, eccome, anche la componente maschile: erano i responsabili del buon andamento della Colonia. Le giornate erano organizzate con rigore e non si poteva sgarrare. Diversi momenti erano dedicati alle attività ginniche e a manovre che dovevano essere propedeutiche all’attività militare. I bagni nel lago erano regolati da comandi a fischietto: nell’acqua e poi su, sempre ordinati e senza eccezioni (la foto che correda questo articolo è di Carlo Armani, archivio Mag).
Dopo cinque giorni in Colonia il sabato i bambini e le bambine tornavano in famiglia per partecipare, rispettivamente come “Figli della Lupa” e come “Piccole Italiane”, ai raduni del “sabato fascista”. Ma, a testimonianza del fatto che la “Sabbioni” non va inquadrata in prospettiva unilaterale e di parte, va ricordato che, finita la guerra, le strutture con mensa e capannoni di legno vennero usate dalle organizzazioni cattoliche. Si svilupparono, infatti, esperienze di sostegno elioterapico ai ragazzi con il lodevole impegno, tra gli altri, di don Giuseppe Parolari e del maestro Mario Matteotti, che avevano militato assieme nella Resistenza nelle Fiamme Verdi. Poterono contare, per questo impegno, sul gruppo assai numeroso e motivato dei ragazzi dell’Oratorio. Non va peraltro dimenticato che, in quel Dopoguerra ricco di conflitti ideologici tra i cattolici democristiani e i comunisti, le strade dell’assistenza ai minori si divisero seguendo i contrapposti credo politici. Mentre i cattolici operavano nella Colonia in funzione ai “Sabbioni”, la parte opposta, quella dei rossi, coordinata da Dante Dassati, già comandante partigiano Dario nella Resistenza, aveva avviato una colonia elioterapica parallela con sede al Brolio e davanti all’hotel Sole. Con una siffatta concorrenza si può ritenere che i bambini rivani poterono affrontare, in condizioni migliori di quelle che si sarebbero prospettate senza iniziative di questo tipo, i difficili e grami anni del Dopoguerra. Poi, nei decenni successivi, anche sull’onda di queste valide esperienze pilota, si sviluppò con gran successo l’esperienza della colonia “Sabbioni” gestita dal Patronato scolastico e dal Comune. Un’esperienza che è nei ricordi di molti ex ragazzi di Riva e di tutto l’Alto Garda.
Vittorio Colombo